Morì schiavo, 14 anni al padrone
• DI QUEL 20 LUGLIO 2015 – giorno in cui Muhamed Abdullah, 47 anni, originario del Sudan, si accasciò nei campi di pomodori di Nardò, in Salento, a 40 gradi, mentre lavorava – resta il riverbero dell’orrore tra le carte della Corte d’assise di Lecce che ieri si è pronunciata sulla sua morte.
Per riduzione in schiavitù e omicidio colposo il presidente Pietro Baffa e a latere la giudice Francesca Mariano, oltre i giudici popolari, hanno condannato a 14 anni e sei mesi di reclusione ciascuno il datore di lavoro e titolare dell’azienda agricola, Giuseppe Mariano, detto Pippi, 83enne, originario della provincia di Lecce, e l’intermediario Mohamed Elsalih, detto Sale, 42enne sudanese, preposto al reclutamento della manodopera a nero, al trasporto dei lavoratori e al loro assoggettamento. Le pene sono state aumentate di 3 anni rispetto alla richiesta formulata dalla pm Francesca Miglietta. Ritmi sfiancanti di lavoro, 10-12 ore al giorno 7 giorni su 7, al caldo torrido, senza acqua potabile, senza visite mediche, presidi sanitari né dispositivi di protezione, per una paga inferiore ai 50 euro giornalieri. Ai due imputati è stato contestato di aver approfittato dello “stato di vulnerabilità, bisogno e necessità” dei migranti, intimoriti di “perdere l’unica fonte di sostentamento”.
Con la morte di Muhamed Abdullah, colto da malore e affetto da polmonite ad impronta emorragica, erano partite le indagini dei Ros, a pochi giorni da un altro decesso, quello di Paola Clemente ad Andria (Bat). Dall’inchiesta, condotta dal sostituto procuratore Paola Gugliemi, è emersa negligenza, imprudenza, imperizia, prevaricazione, stato di soggezione continuativa ai danni di numerosi migranti, costretti a lavorare e a vivere in condizioni disumane, “stipati e ammassati, in casolari abbandonati e in rovina”. Il decesso della vittima non sarebbe occorso – secondo l’accusa – se fossero state garantite “precauzioni igieniche, diagnostiche e terapeutiche, tutte necessarie ed imperative, che avrebbero consentito di modificare la prognosi della pregressa malattia”.
Per quei pomodori raccolti nei campi della Puglia da lavoratori ridotti in schiavitù, nel 2015 finirono nella bufera mediatica alcuni tra i più importanti marchi agroalimentari, destinatari finali dei frutti. La sentenza della Corte d’assise ha riconosciuto alle società Mutti e Conserve Italia (Cirio), costituitesi parti civili, una provvisionale di circa 7mila euro che verrà poi valutata in sede civile. Stessa decisione per la moglie della vittima, a cui spetta un risarcimento danni di 50mila euro, per Flai-cgil Brindisi, Cgil Lecce (7mila euro ciascuna) e per il Comitato interministeriale per i diritti umani (6mila euro). È stata, infine, rimessa alla pm la posizione di quattro lavoratori sudanesi per presunta falsa testimonianza resa durante il corso delle indagini.