Maxxi, tutti i flop del museo commissariato dalla politica
Via Melandri, spazio a Giuli
Si è conclusa con una commossa conferenza stampa l’era di Giovanna Melandri come presidente del Maxxi, il “Museo nazionale delle arti del XXI secolo”, o per meglio dire della Fondazione che lo gestisce, creata nel 2009 dall’allora ministero dei Beni Culturali – che sulla fondazione ha compiti di vigilanza – al fine di creare il museo, costato 150 milioni e inaugurato nel 2010 su progetto di Zaha Hadid, che assicurasse lo svolgimento dei “compiti propri del Centro per la valorizzazione e la documentazione delle arti contemporanee”. Il ministro Gennaro Sangiuliano ha scelto per la successione il giornalista e scrittore Alessandro Giuli, un uomo che non viene dal mondo delle arti contemporanee, come d’altronde non arrivava da lì Giovanna Melandri, piazzata alla guida del museo in quota Pd nel 2012, dopo una lunga carriera politica. “Noi consegniamo un gioiello che ha bisogno di tanta cura e tanta attenzione”, ha spiegato ieri Melandri.
I NUMERI snocciolati ieri dalla dirigenza (3,5 milioni di visitatori dal 2010 al 2022, e di 16,5 milioni di euro di fundraising raccolti) non raccontano però tutto. Per dargli un significato, dobbiamo tornare all’inizio degli anni 10, dopo l’inaugurazione del “gioiello” da 150 milioni di euro. Il Maxxi nasce con un afflato internazionale, con l’ambizione di creare un centro delle arti contemporanee in grado di competere con le grandi Capitali europee, da Londra a Berlino. Ma qualcosa, fin da subito, non va. Lo Stato, che aveva voluto la nuova fondazione e il nuovo museo, sembra disinteressarsene: i primi anni sono caratterizzati da ammanchi di bilancio continui, e nella primavera 2012 il ministro Ornaghi procede al commissariamento. Un commissariamento che la fondazione, guidata allora dall’architetto e restauratore Pio Baldi, accoglie “con sorpresa”, rivendicando che nel 2011 erano stati raggiunti “450 mila visitatori e una capacità di autofinanziamento di circa il 50%, nonostante il taglio del 43% dei fondi statali rispetto al 2010”. Non basta, il commissariamento arriva e poi, in autunno, entra in carica la presidente Melandri.
Le cose iniziano ad andare meglio, a livello di immagine. Scompaiono gli articoli critici sulla stampa, anche in presenza di azioni piuttosto discutibili, come la scelta di far finanziare il restauro di quella che sarebbe diventata la sede distaccata del Maxxi a L’aquila dalla Federazione Russa, con conseguente inaugurazione in pompa magna nel maggio 2021. E scompaiono anche i buchi di bilancio, che venivano indicati come segno di malagestione, nonostante il sostegno pubblico sia vitale per tutti i centri d’arte contemporanea “nazionali” d’europa. È però piuttosto chiaro come il cambio di rotta sia stato dovuto soprattutto a un più costante aiuto pubblico, dato che la Corte dei Conti, nonostante l’ingresso nella fondazione di Enel, valutando ogni bilancio invita il museo a fare di più. Scrive ad esempio: “La Fondazione dovrebbe perseguire l’obiettivo di incrementare la soglia delle entrate proprie, che si assesta sotto la percentuale del 35 per cento dei ricavi totali” (2017) o ancora “pur dando atto dell’importanza dell’offerta culturale del Maxxi, nel 2019 la Fondazione aumenta ancora la dipendenza dalle entrate derivanti da contributi pubblici” che passano dal 58,5 per cento del 2018 al 63,3 per cento del 2019. Negli anni della pandemia la situazione si è, come ovvio, aggravata.
Non è difficile affermare che la scommessa da 150 milioni (a cui vanno aggiunti i 6 stanziati anno per anno) finora è in buona parte fallita, avendo il museo trovato – con fatica imprevista – una sua dimensione ottimale nell’ambiente italiano e romano, lavorando bene con il pubblico locale (che costituisce ormai oltre il 70% degli ingressi) e come spazio di documentazione, ma senza poter rivaleggiare coi vari Moma, Guggenheim o Pompidou. E se non può essere il numero di visitatori a qualificare il successo di un museo, si dovrà notare che questi sono rimasti costanti negli anni, stabilizzandosi intorno ai 2-300 mila, anche in presenza di un trend nazionale e internazionale che ha visto i musei segnare costantemente nuovi record negli anni 2010-2019: non così il Maxxi, che però nel frattempo si è allargato con una sede distaccata a L’aquila, e che presto vedrà un ulteriore allargamento finanziato con 42 milioni di euro. Operazione che porta con sé il rischio di stabilizzare l’immagine del museo come uno spazio anzitutto architettonico, prima che di produzione artistica.
Ora tocca ad Alessandro Giuli, noto per la sua passione per l’antica Roma e per le sue comparsate televisive, più che per le sue visioni artistiche, guidare il Maxxi alla nuova, ricca e complessa fase. Una fase che sarà per certi versi di continuità, quantomeno nella scelta, curiosa, di mettere in mano il museo che eredita i compiti e le collezioni di ciò che fu il Centro per le arti contemporanee a una persona che per tutta la vita si è occupata di tutt’altro.
La parabola Costato 150 milioni, dopo ammanchi di bilancio viene commissariato Con la dem più aiuti pubblici ma poche visite