Riecco il ponte sullo Stretto: così Salvini aiuta il costruttore Salini
Èsolo l’ultima tappa di una saga ultra-decennale ma d’altronde Matteo Salvini l’aveva annunciato (“Sarà il simbolo del genio italiano”, ha detto il neoministro delle Infrastrutture): la manovra resuscita il ponte sullo stretto di Messina, o almeno la struttura preposta a gestire il gigantesco appalto. La norma compare infatti nell’ultima bozza della legge di Bilancio e, se sarà confermata, per come è scritta farà molto felice il costruttore Pietro Salini e la sua Webuild, il colosso ex Salini Impregilo che oggi vede come secondo azionista anche la pubblica Cassa depositi e prestiti. Impregilo capitanava il consorzio Eurolink che nel 2006 vinse la gara per l’opera e oggi è in causa con lo Stato a cui ha chiesto 700 milioni di danni per non avergliela fatta fare.
LA NORMA
in manovra è un taglia e cuci legislativo. Per prima cosa resuscita la Stretto di Messina spa, la concessionaria incaricata di costruire il Ponte e in liquidazione da quasi dieci anni, da quando il governo Monti ha bloccato la grande opera nel 2012 (nel frattempo sono stati spesi 960 milioni in progetti e consulenze). Entro massimo 120 giorni la liquidazione deve terminare e la società tornerà ad avere un Cda facendo decadere il liquidatore (da 9 anni è Vincenzo Fortunato, ex potente capo di Gabinetto di Tremonti) che, nelle more dell’operazione, diventa un “commissario straordinario”. Chi ci mette il capitale? Ovviamente lo Stato. Gli azionisti Anas e Rfi verseranno 50 milioni per ricapitalizzare la società (che in teoria doveva costruire il ponte in project financing, cioè con i privati a finanziare l’opera e ripagarsi il costo con i pedaggi, peccato però che i soci siano pubblici e i soldi pure). Curiosamente è la stessa cifra che il predecessore di Salvini, Enrico Giovannini aveva affidato a Rfi per effettuare uno studio di fattibilità tecnico-economica del ponte per decidere se farlo a campata unica o a tre campate, come chiesto da un’apposita commissione ministeriale. A pensar male si potrebbe credere che questi soldi verranno dirottati ad Anas e Rfi e il progetto rimane quello di Salini, ma sono maldicenze.
La norma, in ogni caso, fa molto altro. Innanzitutto impone alla Stretto di Messina ancora in liquidazione di trovare, entro 90 giorni, un accordo con tutti i soggetti in causa con la società, compreso il “contraente generale”, cioè il consorzio Eurolink capeggiato da Salini, attraverso “atti transattivi di reciproca integrale rinuncia alle azioni e agli atti dei medesimi giudizi (...) nonché alle ulteriori reciproche pretese in futuro azionabili in relazione ai contratti sottoscritti”. Insomma, troviamo un accordo e chiudiamola lì. Poco importa che Salini in primo grado, a fine 2018, abbia perso contro lo Stato.
L’intesa, a questo punto, potrebbe prevedere la rinuncia da parte di
Eurolink-salini alla causa da 700 milioni in cambio della promessa di costruire il ponte. Si tratta di ipotesi, ma il testo guarda pure al futuro: prevede infatti che l’atto transattivo venga approvato con un decreto del presidente del Consiglio che, una volta entrato in vigore, fa decadere anche la norma del decreto con cui il governo Monti decise di bloccare l’opera prevedendo per i costruttori un indennizzo pari alle sole opere già realizzate più un 10% del loro valore (e non dell’intero appalto). In questo modo, viene ipotecata la possibilità per lo Stato di cambiare idea sull’opera senza pagare penali stratosferiche.
Insomma, si torna alla casella di partenza e Salini – che ha poche
La norma Lo Stato dovrà accordarsi col gruppo che chiede 700 mln di danni. Via le norme di Monti che tagliavano le maxi-penali...
probabilità di ottenere i 700 milioni – può festeggiare. È l’esito inseguito da anni da politici di ogni colore, da Luigi Di Maio a Matteo Renzi, che nel 2016 promise al costruttore che il ponte si sarebbe fatto, nonostante rappresentasse la presidenza del Consiglio a cui Salini chiedeva i danni. Poco importa che il progetto non abbia mai visto il via libera (a partire dalla Valutazione di impatto ambientale). Manco a dirlo, con la manovra, l’opera diventa “prioritaria e di preminente interesse nazionale” e quindi “sono reiterati, ad ogni fine ed effetto di legge, i vincoli già imposti con l’approvazione del progetto preliminare dell’opera e successivamente prorogati”.