In barca verso l’isola che non c’è: “Trivellare qui sarebbe una follia”
Alla ricerca di gas nel mar Adriatico
Un tempo in queste acque dolci del Grande Fiume che si mescolano con l’adriatico andava ogni mattina la Cesarina sopra una barca a remi, con il suo carico di ragazzini analfabeti. Li prendeva dall’azienda agricola abitata da 25 famiglie, una lingua di terra strappata al mare, e li portava sull’isola della Batteria, dove aveva ricavato un’aula per insegnar loro a leggere e scrivere. La chiamavano la maestra, anche se una vera maestra non era, tanto che un giorno il provveditore agli studi di Rovigo le fece sapere che avrebbe dovuto smettere. Così lei, non potendosi più dedicare ai bambini poveri del Delta, se ne scappò in Africa a fare la missionaria. Sessant’anni dopo, Stefano Cacciatori, innamorato di questo ambiente primordiale e delicatissimo, conduce un’imbarcazione a motore sullo stesso braccio del Po, in una traversata che per chi vive in Polesine ha la forza della testimonianza e della ribellione. Si va all’isola della Batteria. O meglio ciò che ne rimane. Poche case che emergono come mozziconi di una vita scomparsa, sommerse fino al primo piano, perché l’isola non c’è più, la terra si è abbassata a causa della subsidenza e l’argine si è rotto, inondando tutto. La lotta dell’uomo per salvare i campi dalle maree era diventata inutile. Il progresso del Dopoguerra e la ricerca spasmodica di acque metanifere per produrre energia avevano fatto guasti ormai insanabili.
Da Roma arrivano adesso diktat governativi incuranti del rischio: bisogna riprendere le trivellazioni in Adriatico, l’italia ne ha bisogno. Gli industriali brindano e accusano gli oppositori di sindrome Nimby (non nel mio giardino). I politici tentennano, anche se il presidente veneto Luca Zaia ha avuto il coraggio di dire: “Io sono contro le trivelle, a meno che la scienza non dimostri che non fanno danno…”. Poi però ha incontrato il ministro Adolfo Urso per aprire un tavolo tecnico.
“Ma quale Nimby, quali dubbi? Questo territorio è già profondamente ferito. Prima di riprendere le estrazioni in mare devono dimostrare, con modelli matematici, che le moderne tecnologie consentono lo sfruttamento senza causare i terrificanti fenomeni di cui siamo stati vittime”. L’ingegner Giancarlo Mantovani, direttore del Consorzio di Bonifica del Delta del Po, è salito sull’arca della protesta, assieme a qualche decina di cittadini e a Roberto Pizzoli, sindaco di Porto Tolle, per lanciare un appello: “Dovete far capire all’italia la gravità della situazione: le terre oggi sono due metri e mezzo sotto il livello del mare, ci sono punti in cui si superano i quattro metri. Basta guardare le carte storiche: nel 1957 il Delta si è abbassato di 30 centimetri in un solo anno”.
A bordo anche l’ex amministratore comunale e provinciale Gianni Vidali, una vita a sinistra, poeta e scrittore. Spiega che il bradisismo naturale vale un abbassamento di 2 mm all’anno, le bonifiche una trentina di cm, ma quando l’uomo ci mette la mano, estraendo il metano, il danno supera i tre metri abbondanti. “Mi ricordo quando veniva Enrico Mattei per elogiare i cento pozzi che cercavano il gas, scavando fino a 800 metri di profondità. Allora non si estraeva in mare, lo hanno fatto dopo, ma con analoghi effetti”. Si passò in Adriatico
Batteria Il borgo fantasma inondato per la ricerca del metano nel XX secolo: “La terra si abbassa ancora di 2 mm all’anno”
‘‘ Siamo metri sotto il livello del mare, nel ’57 in un solo anno siamo scesi di 30 cm Giancarlo Mantovani
Non si può sacrificare una terra per un irrisorio 2% di fabbisogno energetico R. Pizzoli (Lega)
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perché lo scempio aveva aggravato i danni delle alluvioni.
Nella seconda era delle trivelle sorsero le piattaforme, dai nomi soavi come Naomi-pandora o Irma-carola. Ci volle l’inchiesta del pm di Rovigo Emanuela Fasolato per sequestrarle e indagare i vertici Eni e Agip, accuse evaporate anni dopo, con il passaggio della competenza a Ravenna. “Adesso ci riprovano, nell’area umida più grande d’europa, sito Unesco unico per bellezza. – denuncia Vidali – Lo fanno con il ricatto del bisogno economico e con una grande disinformazione. Una
situazione aberrante”. Gli fa eco il sindaco Pizzoli, un leghista veneto che si definisce un “comunista epurato”. “Siamo tutti trasversalmente d’accordo, non si possono sacrificare agricoltura, pesca e turismo compatibile per un irrisorio 2% del fabbisogno nazionale di energia”. Rincara l’ingegner Mantovani: “Si ragiona con la pancia, non con la testa. Si pone il limite dello sfruttamento al 45º parallelo, spostando i confini verso nord di 25 km. Vuol dire che per Venezia c’è pericolo, ma non per il Delta?”. Sulle trivelle sono tutti anti-governativi.
Una sciocchezza e un attentato. Lo ha denunciato anche Matteo Ceruti, per conto di Legambiente, Wwf, Green Peace e Lipu, impugnano al Tar il via libera governativo (nel 2021) allo sfruttamento della concessione Teodorico, a favore di una società australiana: “Si rischiano gravissimi danni all’ambiente per la subsidenza, agli habitat tutelati e alle specie marine
’’ protette”. Fabio Bellettato, presidente di Italia Nostra Rovigo sta organizzando un coordinamento di associazioni ambientaliste che a giorni deciderà sit in e manifestazioni. Ha appena scritto a governo e Parlamento per chiedere l’abrogazione dello “sblocca trivelle”. “A fronte di un vantaggio incerto, ma inesistente nel breve periodo, avremo gravi danni certi con effetti pesanti su tutta l’economia del Delta del Po”.