“Le vite mie” di Selvetella per rispondere a tutte le domande (infinite) tra passato e presente
Forse in polemica con il titolo di un fortunato romanzo di Carrère: Vite che non sono la mia, Yari Selvetella intitola il suo: Vite mie (Mondadori). Claudio Prizio, il protagonista assoluto ha raggiunto i 45 anni, si sente vecchio e vive in uno stato confusionale. È un marito perfetto, sa cucinare, sa occuparsi dei suoi figli e di sua moglie. Entrambi fanno un lavoro intellettuale. Claudio presso una radio e Agata è una sociologa, provenienti da ambienti proletari.
Si sono riscattati, sono diventati due piccoli borghesi, non vivono più nelle periferie romane ma hanno una casa dignitosa, che vorrebbero cambiare per una al centro. La routine famigliare che lo impegna nella crescita anche di figli non suoi (sono in tutto sei persone come una famiglia allargata) non lo interessa più. “Non so più amare” inizia a scrivere nel suo diario-monologo. Inoltre si ritiene uno scrittore fallito.
Per uscire da questo impasse torna nei luoghi della sua infanzia, dove raccoglie oggetti una volta amati che incarta e di cui cercherà di disfarsi. Non conta l’amare ma l’aver amato, sostiene in polemica con un verso di Pasolini. Vite mie è dunque un romanzo neo-esistenziale, pieno di domande che riguardano il presente e il passato, come quello della morte di G. il suo primo amore, avvolto in una Roma che tutto tritura, la città dei ruderi.
Lo tsunami di Carrère qui è privato e riguarda quei pacchetti di cui Claudio si disfa lanciandoli in diversi punti di Roma, una volta convinto che bisogna andare “contro l’amore”. Ma si accorge subito che non basta liberarsi dei cari oggetti del suo passato se la memoria li ricorda nitidamente, come la vestaglia di G..
Così finisce in una rumorosa dimostrazione all’esquilino, che lo spinge a rifugiarsi in una casa (la sua vecchia o quella nuova che stanno per andare ad abitare?) del tutto priva di suppellettili, vuota.
Quello stato confusionale lo convince a credere che non è uno specchio che raccoglie le immagini degli altri, a “dimenticare che sono esistito, finalmente sparire”. Vite mie è dunque il romanzo della “nausea sartriana” o somiglia alla dubbiosa e stressante vita famigliare de La coscienza di Zeno? Claudio Prizio sarà pure un fallito come scrittore ma certo ha coltivato letture alte, irraggiungibili.