COSA CI PUÒ INSEGNARE IL DISASTRO DI ISCHIA
Tra la notte e l’alba del 26 novembre su Ischia sono caduti fino a 170 millimetri di pioggia, con un picco di 52 in un’ora: in queste condizioni si crea la fluidificazione dei suoli e partono le frane. Il terreno vulcanico molto sciolto si miscela all’acqua e crea colate detritiche assai dense, pari a un paio di tonnellate al metro cubo, che trascinano a valle ogni elemento che incontrano sulla loro traiettoria: alberi, muri, automobili. Sono eventi rapidi dai quali è molto difficile mettersi al riparo, specie se invadono anche le case, che possono essere travolte, abbattute o sommerse. Il ritrovamento e il bilancio delle vittime è difficile proprio per via dei detriti fangosi e della pericolosità del terreno instabile. La forte precipitazione può essere stata esaltata dall’evaporazione di un mar Tirreno più caldo della media di circa un grado al termine dell’estate più calda di sempre sull’europa centro-meridionale. Non è la prima volta che Ischia viene colpita da eventi di questo tipo: il 10 novembre 2009 una colata detritica aveva travolto una donna. Questa ricorrenza, oggi resa più frequente e intensa dal riscaldamento globale, deve indurre le comunità locali e le amministrazioni ad aumentare le azioni di prevenzione, sia quelle infrastrutturali, come briglie per rallentare i deflussi dei torrenti, sia quelle urbanistiche per vietare le costruzioni in zone a rischio, sia quelle educative per spiegare alle persone come comportarsi per ridurre almeno il rischio di perdere la vita. Ma tutto questo in Italia è sempre ripetuto dopo ogni alluvione e mai attuato. Sono passati poco più di due mesi dal nubifragio dell’entroterra marchigiano e la piena del Misa giunta fino a Senigallia, e non abbiamo forse scritto le stesse cose? Bisogna avere più coraggio nella pianificazione: anche con la manutenzione del territorio le piogge violente continueranno a creare danni, siamo noi che dobbiamo spostarci dai fiumi, non cercare a tutti i costi di trattenerne la furia.