Pd, non bastano 87 saggi: dem a pezzi su lavoro e armi
FLOP La prima riunione per riscrivere il Manifesto è un disastro: il partito si spacca e nel testo potrebbe sparire la critica al riarmo
“Già quando mi hanno detto che saremmo stati in 87 ho detto: ‘Ok, ho capito come va a finire’”. Cioè male. A parlare è uno degli oltre 100 componenti dell’assemblea costituente del Pd, il gruppo di saggi incaricato di riscrivere il manifesto dei valori del partito: 87 sono personalità scelte col bilancino tra le correnti, la società civile e il mondo accademico; a cui si aggiungono una trentina di amministratori regionali e comunali e dirigenti locali dem. Obiettivo: aggiornare – qualcuno dice riscrivere daccapo – il testo redatto nel 2007 e approvato nel 2008. Problema: la prima riunione della costituente dem, due giorni fa, è andata malissimo, complici le enormi divergenze tra i partecipanti e una certa babele comunicativa. Ma non è detto che le cose migliorino, visto che si tratta di arrivare entro qualche settimana a un documento che metta d’accordo tutti anche su temi molto divisivi come il mercato del lavoro e i rapporti internazionali.
Certo, si può sempre pensare di svicolare. Ma nell’attuale contesto geopolitico, con la guerra in Ucraina in corso, anche far finta di niente sulla politica estera sarebbe una scelta di cui rispondere. Anche perché il Manifesto approvato nel 2008 conteneva una critica, seppur blanda, alla corsa al riarmo. Da mesi invece la linea ufficiale del Pd è quella della cieca fedeltà atlantica e prevede, in ossequio ai desiderata americani, di alzare al 2 per cento del Pil le spese militari. Va da sé che sbianchettare ogni riferimento al tema nella nuova Costituzione dem direbbe molto sul mutamento genetico del partito. Al tempo stesso, impegnarsi moralmente per il disarmo per poi tradire nei fatti il principio (presto il Parlamento dovrebbe votare proprio su questo) sarebbe un suicidio.
LITI INTERNE ORLANDO MASSACRATO PER LE FRASI ANTILIBERISTE
COME USCIRNE, ALLORA?
Un esponente di Base Riformista è fiducioso: “Se scriviamo che siamo per un multilateralismo democratico e che si deve far funzionare meglio la cooperazione internazionale credo che non ci saranno problemi”. Significa comunque eliminare la parola “riarmo”, che nel 2007 compariva al punto 7: “Stiamo assistendo a drammatiche turbolenze degli ordini politici internazionali, che vanno ridisegnati e messi in grado di prendere grandi decisioni collettive. La conseguenza è che questo vuoto di governo alimenta sempre nuovi conflitti e nuove corse al riarmo, compresa una proliferazione degli arsenali atomici”.
Tra gli 87 saggi non manca chi, in questi mesi, a costo di discostarsi dalla linea del partito, si è detto a disagio per il previsto aumento delle spese militari: Graziano Delrio, Paolo Ciani, Laura Boldrini, Sandro Ruotolo. Adesso si divideranno tutti in quattro gruppi tematici (lavoro; diritti e welfare; l’italia nell’europa e nel mondo; democrazia e partecipazione) e poi i nodi andranno sciolti. Le premesse non sono buone e basta scorrere le dichiarazioni dopo la prima riunione. Se qualcuno, come Loredana Capone (presidente del Consiglio in Regione Puglia) insiste sulla “lotta alle disuguaglianze” e assicura che “troveremo un filo rosso che ci unisce tutti”, in molti scuotono la testa. L’ex deputato Stefano Ceccanti parla di “falsa partenza” e lamenta i toni di chi “ha voluto creare uno scontro tra mozioni invece che partecipare a una costituente”: “Il mandato è di proporre all’assemblea di aggiornare un Manifesto da guardare comunque con rispetto a di azzerarlo ritenendolo da cestinare in blocco?”. Il riferimento è a chi, come la politologa Nadia Urbinati, ha avuto toni duri nei confronti di un testo definito “bolso e indigeribile”. Critiche riprese da Roberto Speranza (“Il Pd deve espungere il liberismo al suo interno”) e Andrea Orlando, che ha fatto autocritica sul Manifesto del 2007 soprattutto rispetto al lavoro, denunciando un’impostazione “ordoliberista”: “Ho ammesso che nel 2007 sbagliammo l’analisi sulla globalizzazione – ha twittato ieri Orlando – È l’autocritica che sta facendo per via teorica o nei fatti quasi tutta la sinistra nel mondo. Qui da noi non si può? Non si deve? Disturba?”.
LA DOMANDA è retorica, a giudicare dagli attacchi all’ex ministro. C’è Debora Serracchiani, secondo cui “il Manifesto del 2007 non può essere buttato via, perché è una base di innovazione”. Ancora più diretto il tesoriere Walter Verini: “Alcuni interventi mi sono parsi singolari per approssimazione e superficialità. Serve un approccio più laico, senza pulsioni rottamatrici”. Così pure Alfredo Bazoli: “Per correggere le nostre politiche occorre per forza fare abiura e buttare a mare il Pd e tutto ciò che abbiamo fatto?”. Posizione opposta a quella di Peppe Provenzano, un altro degli 87: “Dal 2007 il mondo è stato stravolto da crisi epocali: recessione, emergenza climatica, pandemia, guerra. Ma oggi scopriamo che non si può scrivere un nuovo manifesto e va bene quello che si diceva allora. Pretesa singolare in un congresso costituente”. E mentre oggi Dario Nardella formalizzerà il proprio sostegno alla candidatura di Stefano Bonaccini, Elly Schlein a Otto e mezzo conferma che domani a Roma “darà disponibilità ad andare avanti nel congresso”, cioè a candidarsi. Ma l’aria che tira nel partito la fa capire il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, all’huffington Post: “Se vincesse Schlein, potrei lasciare il Pd”. Quale clima migliore per un congresso.