Gabriel Shipton, fratello del n. 1 Wikileaks “Assange trattato da demonio E il mio film adesso fa paura”
Da mesi gira il mondo per mobilitare l’opinione pubblica e salvare Julian Assange, che per lui non è solo il fondatore di Wikileaks, è anche il fratello maggiore. Per dialogare con il pubblico, Gabriel Shipton, cittadino australiano di professione filmmaker, ha prodotto un efficace film, Ithaka, del regista Ben Lawrence, che racconta il caso Assange dal punto di vista privatissimo della moglie Stella, del padre John Shipton e della loro campagna globale per salvarlo. Il Fatto Quotidiano lo ha intervistato.
Qual è il suo primo ricordo di suo fratello?
Non siamo cresciuti insieme, Julian e io. L’ho conosciuto negli ultimi anni della mia adolescenza e i miei primi ricordi sono di lui che veniva a trovare me e mio padre a Sydney, portando la sua bicicletta in aereo e pedalando dall’aeroporto a casa nostra. Mi ricordo le nostre grandi chiacchierate. Era in grado di spiegare cose molto complicate, dalla tecnologia alla matematica alle scienze, in modo molto semplice.
E come era come fratello?
Sempre pronto ad ascoltare cosa accadeva nella mia vita e a cercare modi per aiutarmi. Tanti di quelli che l’hanno conosciuto hanno avuto questa esperienza: era sempre generoso, non importa quello che succedeva.
Le ha mai detto: non avrei dovuto investire la mia vita in un’organizzazione giornalistica rischiosa come
Wikileaks? Mai. Da moltissimi anni era interessato a usare strumenti come Internet, la sua architettura e la crittografia per rivelare ingiustizie o tutelare fonti giornalistiche. Anche prima di Wikileaks lavorava sulla crittografia per le fonti e per i giornalisti, per cercare di fare in modo che potessero proteggere le informazioni anche sotto tortura. Ha sempre puntato a utilizzarla per proteggere le persone e rivelare la corruzione, non ha mai pensato: come posso farci più soldi?
Gli ha fatto visita in prigione a Belmarsh, come lo ha trovato?
Ci sono stato molte volte. Appena imprigionato lì dopo l’arresto, era essenzialmente in isolamento. Quello è stato il periodo più oscuro, in cui l’ho trovato in uno stato in cui non l’avevo mai visto prima e la visita durava un paio d’ore, poi dovevo lasciarlo e non potevo sapere cosa gli sarebbe accaduto all’interno della prigione. Sono stati tempi di estremo stress. È ancora stressante fargli visita in prigione. Gli accessi sono più regolari, il che è positivo, perché può vedere la famiglia più spesso, ma rimane quella sensazione di ansia, perché non si sa mai... Mi tornano i ricordi di quando l’ ho visto in quelle condizioni terribili.
Si rende conto, da lì dentro, che c’è una grande mobilitazione per salvarlo? Sì, e sapere che non solo persone di tutto il mondo stanno lottando per la sua libertà, ma che il lavoro che lui ha fatto con Wikileaks è importante per la gente di ogni luogo, gli dà la forza di andare avanti. Io combatto per lui perché è mio fratello, ma tutti gli altri combattono per quello che il suo lavoro ha significato per loro.
La mobilitazione globale gli dà forza: è per questo che ha lavorato a Ithaka? Sì, per raccontare un’altra parte della storia e far conoscere Julian attraverso le persone vicinissime a lui, perché ce lo hanno portato via, lo hanno portato via da tutti, disumanizzato, demonizzato. Il film è stato un modo per riprendercelo da queste persone che hanno passato tutti questi anni a imbrattare la sua reputazione e a sottrarcelo. È un modo per riprendere il controllo di questa storia e di farlo attraverso le emozioni, attraverso Stella e John e la loro lotta per liberarlo. Un padre che si batte per suo figlio: quale padre non lo farebbe? Speriamo che, coinvolgendo il pubblico in questo viaggio emotivo con Stella e John, riusciremo ad aprire i loro cuori, ma anche le loro menti sulla reale persecuzione che ha subito.
In Italia c’è un notevole attivismo, eppure due importanti festival del cinema, Roma e Torino, hanno rifiutato di far vedere al pubblico Se l’aspettava?
Julian non ha mai pensato di far soldi con le informazioni La pellicola su di lui è un modo per riprendercelo
Ithaka.
Abbiamo incontrato barriere simili in ogni luogo. Esistono in tutto il mondo del cinema, che siano organismi finanziati dai governi, o Netflix o festival, bloccano progetti che non si adeguano alla narrativa politica del momento. Ma ci sono anche persone perbene in queste organizzazioni e ogni volta troviamo qualcuno disposto a rischiare qualcosa, a rischiare la carriera, per i principi che sono in gioco.
La scorsa settimana, cinque grandi media – il New York Times, il Guardian, Der Spiegel, Le Monde, El Pa í s – hanno chiesto all’amministrazione Biden di lasciar cadere le accuse contro Julian Assange: è ottimista?
Se non pensassi di vincere, non farei tutto questo. Ho fiducia, assoluta fiducia, che vinceremo. Quello a cui assistiamo è un effetto domino, che diventa sempre più grande. Di norma, è veramente difficile riuscire a fare in modo che cinque media globali si mettano insieme e facciano una dichiarazione congiunta che la persecuzione legale senza fine contro Julian debba finire. È qualcosa di enorme e senza precedenti. E vediamo che, in aggiunta, i giornalisti di Wikileaks Kristinn Hrafnsson e Joseph Farrell, stanno incontrando il nuovo presidente del Brasile, prima avevano incontrato quello della Colombia. Stanno facendo un lavoro favoloso. Mio padre e io abbiamo incontrato il presidente del Messico. Ci sostengono questi media, questi leader mondiali, ogni singola organizzazione per la difesa della libertà di stampa e dei diritti umani.
Quale sarà la prima cosa che farà con suo fratello, se e quando sarà libero?
Sono sicuro che Stella voglia mettere le mani su di lui prima di me. Semplicemente mi fa piacere vederli riuniti. Per tutta la loro vita, i loro due bambini hanno incontrato il padre solo in prigione. Per me sarebbe sufficiente vedere che li prende e li porta al parco.