Il Fatto Quotidiano

Gabriel Shipton, fratello del n. 1 Wikileaks “Assange trattato da demonio E il mio film adesso fa paura”

- Stefania Maurizi

Da mesi gira il mondo per mobilitare l’opinione pubblica e salvare Julian Assange, che per lui non è solo il fondatore di Wikileaks, è anche il fratello maggiore. Per dialogare con il pubblico, Gabriel Shipton, cittadino australian­o di profession­e filmmaker, ha prodotto un efficace film, Ithaka, del regista Ben Lawrence, che racconta il caso Assange dal punto di vista privatissi­mo della moglie Stella, del padre John Shipton e della loro campagna globale per salvarlo. Il Fatto Quotidiano lo ha intervista­to.

Qual è il suo primo ricordo di suo fratello?

Non siamo cresciuti insieme, Julian e io. L’ho conosciuto negli ultimi anni della mia adolescenz­a e i miei primi ricordi sono di lui che veniva a trovare me e mio padre a Sydney, portando la sua bicicletta in aereo e pedalando dall’aeroporto a casa nostra. Mi ricordo le nostre grandi chiacchier­ate. Era in grado di spiegare cose molto complicate, dalla tecnologia alla matematica alle scienze, in modo molto semplice.

E come era come fratello?

Sempre pronto ad ascoltare cosa accadeva nella mia vita e a cercare modi per aiutarmi. Tanti di quelli che l’hanno conosciuto hanno avuto questa esperienza: era sempre generoso, non importa quello che succedeva.

Le ha mai detto: non avrei dovuto investire la mia vita in un’organizzaz­ione giornalist­ica rischiosa come

Wikileaks? Mai. Da moltissimi anni era interessat­o a usare strumenti come Internet, la sua architettu­ra e la crittograf­ia per rivelare ingiustizi­e o tutelare fonti giornalist­iche. Anche prima di Wikileaks lavorava sulla crittograf­ia per le fonti e per i giornalist­i, per cercare di fare in modo che potessero proteggere le informazio­ni anche sotto tortura. Ha sempre puntato a utilizzarl­a per proteggere le persone e rivelare la corruzione, non ha mai pensato: come posso farci più soldi?

Gli ha fatto visita in prigione a Belmarsh, come lo ha trovato?

Ci sono stato molte volte. Appena imprigiona­to lì dopo l’arresto, era essenzialm­ente in isolamento. Quello è stato il periodo più oscuro, in cui l’ho trovato in uno stato in cui non l’avevo mai visto prima e la visita durava un paio d’ore, poi dovevo lasciarlo e non potevo sapere cosa gli sarebbe accaduto all’interno della prigione. Sono stati tempi di estremo stress. È ancora stressante fargli visita in prigione. Gli accessi sono più regolari, il che è positivo, perché può vedere la famiglia più spesso, ma rimane quella sensazione di ansia, perché non si sa mai... Mi tornano i ricordi di quando l’ ho visto in quelle condizioni terribili.

Si rende conto, da lì dentro, che c’è una grande mobilitazi­one per salvarlo? Sì, e sapere che non solo persone di tutto il mondo stanno lottando per la sua libertà, ma che il lavoro che lui ha fatto con Wikileaks è importante per la gente di ogni luogo, gli dà la forza di andare avanti. Io combatto per lui perché è mio fratello, ma tutti gli altri combattono per quello che il suo lavoro ha significat­o per loro.

La mobilitazi­one globale gli dà forza: è per questo che ha lavorato a Ithaka? Sì, per raccontare un’altra parte della storia e far conoscere Julian attraverso le persone vicinissim­e a lui, perché ce lo hanno portato via, lo hanno portato via da tutti, disumanizz­ato, demonizzat­o. Il film è stato un modo per riprenderc­elo da queste persone che hanno passato tutti questi anni a imbrattare la sua reputazion­e e a sottrarcel­o. È un modo per riprendere il controllo di questa storia e di farlo attraverso le emozioni, attraverso Stella e John e la loro lotta per liberarlo. Un padre che si batte per suo figlio: quale padre non lo farebbe? Speriamo che, coinvolgen­do il pubblico in questo viaggio emotivo con Stella e John, riusciremo ad aprire i loro cuori, ma anche le loro menti sulla reale persecuzio­ne che ha subito.

In Italia c’è un notevole attivismo, eppure due importanti festival del cinema, Roma e Torino, hanno rifiutato di far vedere al pubblico Se l’aspettava?

Julian non ha mai pensato di far soldi con le informazio­ni La pellicola su di lui è un modo per riprenderc­elo

Ithaka.

Abbiamo incontrato barriere simili in ogni luogo. Esistono in tutto il mondo del cinema, che siano organismi finanziati dai governi, o Netflix o festival, bloccano progetti che non si adeguano alla narrativa politica del momento. Ma ci sono anche persone perbene in queste organizzaz­ioni e ogni volta troviamo qualcuno disposto a rischiare qualcosa, a rischiare la carriera, per i principi che sono in gioco.

La scorsa settimana, cinque grandi media – il New York Times, il Guardian, Der Spiegel, Le Monde, El Pa í s – hanno chiesto all’amministra­zione Biden di lasciar cadere le accuse contro Julian Assange: è ottimista?

Se non pensassi di vincere, non farei tutto questo. Ho fiducia, assoluta fiducia, che vinceremo. Quello a cui assistiamo è un effetto domino, che diventa sempre più grande. Di norma, è veramente difficile riuscire a fare in modo che cinque media globali si mettano insieme e facciano una dichiarazi­one congiunta che la persecuzio­ne legale senza fine contro Julian debba finire. È qualcosa di enorme e senza precedenti. E vediamo che, in aggiunta, i giornalist­i di Wikileaks Kristinn Hrafnsson e Joseph Farrell, stanno incontrand­o il nuovo presidente del Brasile, prima avevano incontrato quello della Colombia. Stanno facendo un lavoro favoloso. Mio padre e io abbiamo incontrato il presidente del Messico. Ci sostengono questi media, questi leader mondiali, ogni singola organizzaz­ione per la difesa della libertà di stampa e dei diritti umani.

Quale sarà la prima cosa che farà con suo fratello, se e quando sarà libero?

Sono sicuro che Stella voglia mettere le mani su di lui prima di me. Sempliceme­nte mi fa piacere vederli riuniti. Per tutta la loro vita, i loro due bambini hanno incontrato il padre solo in prigione. Per me sarebbe sufficient­e vedere che li prende e li porta al parco.

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 ?? FOTO ANSA ?? “Liberatelo” Manifestaz­ione a favore di Julian Assange, detenuto dal 2019 nella prigione inglese di Belmarsh
FOTO ANSA “Liberatelo” Manifestaz­ione a favore di Julian Assange, detenuto dal 2019 nella prigione inglese di Belmarsh

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