Il Fatto Quotidiano

“SLOW HORSES”, IL LURIDO JACKSON LAMB INDAGA ANCORA

Seconda stagione per la serie spy tratta dai romanzi di Mick Herron e con protagonis­ta Gary Oldman

- » Anna Maria Pasetti

SEMPRE più sfrontato, trasandato e maleodoran­te. Ma Jackson Lamb non se ne cura, al contrario va fiero del suo orribile look, consumando cibo unto e mozziconi al whisky mentre gareggia in battute coi suoi maldestri sottoposti. Del resto l’erede del tipo hard-boiled ma in versione agente segreto londinese è lui, un ex gioiello dell’mi5 caduto in disgrazia e ora alla guida degli Slow Horses, gli agenti degradati al controspio­naggio di serie b, ma non per questo meno abili dei colleghi col blasone. Anzi. Così speciali da esser diventati gli eroi letterari del premiatiss­imo scrittore di spy story Mick Herron nei romanzi dedicati – appunto – a Jackson Lamb. Inevitabil­e l’adattament­o in serie tv, con una prima stagione di Slow Horses valida e di successo, immediatam­ente bissata da Apple Tv+ che ha inaugurato ieri la seconda, ancora in sei episodi e siglata da Will Smith, che ricordiamo solo omonimo della star americana. Squadra che vince non si cambia, dunque nella ormai mitica Slough House ritroviamo gli 8 “Horses” capitanati da Lamb (il grandioso e strabordan­te Gary Oldman che pare averci preso gusto a vestir in luridi panni…), e sempre monitorati dai piani alti dove siede l’apparentem­ente rigida Diane (una sempre perfetta Kristin Scott-thomas).

Ma accanto a due giganti – attori e personaggi – a spiccare il volo in questa stagione sono i giovani, di cui già si sanno vizi e virtù, tra cui primeggia River Cartwright (Jack Lowden). Il nuovo ma antichissi­mo nemico che aleggia sull’intelligen­ce britannica è il passato che riaffiora dalla Guerra Fredda, un controcamp­o di lingua russa ma di mestiere affine ai “nostri”, tra convergenz­e parallele e distopiche ambizioni. I vecchi ci mettono astuzia e memoria, i giovani ci aggiungono braccio e tecnologia, il tutto condito da quell’irresistib­ile umorismo che solo i sudditi di Sua Maestà sanno congegnare. Da Slow Horses il pubblico non deve aspettarsi velleità autoriali e sofisticat­i labirinti del mistero, bensì un’ottima dose del classico spionaggio televisivo al suo meglio, un genere intramonta­bile che parte da James Bond e viaggia all’infinito, almeno finché spie e controspie continuera­nno ad animare l’immaginazi­one popolare. Sotto il Big Ben, ma non solo.

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Sul set Gary Oldman in uno degli episodi della serie televisiva

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