Il Fatto Quotidiano

L’eros di Jan Fabre è in “Je suis Belge”

L’artista si conferma scandaloso e ironico, non solo sul palco, ma anche nelle sue tele di sesso e blasfemia

- » Angelo Molica Franco

S» La saggezza del Belgio Jan Fabre Galleria Gaburro, Mi

u una spiaggia nordica dominata da una falesia, una fanciulla dalle gote imporporat­e e l’espression­e beata si sfrega sul viso quello che ha tutta l’aria di essere un grosso pene scuro, così possente e nervoso da non starle nemmeno tra le mani. Accanto a lei – che nel tratto a matita trova la sua consacrazi­one di “santa e puttana” insieme –, la statua di una sexy e ammiccante Madonna che, con tanto di pelliccia viola e scarpe rosse, in una mano tiene una marionetta vestita dei colori della bandiera del Belgio e, nell’altra, un libro rosso sulla cui copertina si legge: “Je suis Belge”. E belga è infatti Jan Fabre, geniale autore di queste due provocator­ie opere che – insieme ad altre, quasi una cinquantin­a – troviamo all’interno dell’esposizion­e La saggezza del Belgio (a cura di Giacinto Di Pietranton­io), inaugurata ieri alla Galleria Gaburro di Milano e visitabile fino al 12 febbraio.

PROVOCATOR­IE, SI DICEVA delle opere, non tanto perché costeggino il sesso – che pure qualche guaio a Fabre hanno procurato, se pensiamo che nel 2021 è stato accusato di molestie sessuali e nell’aprile di quest’anno giudicato colpevole – ma perché usano il sesso, o meglio l’eros, come spinta liberatori­a dei corpi, nonché dispositiv­o dell’identità umana.

Nato ad Anversa nel 1958, Jan è artista totale, capace di spaziare dall’arte visuale e figurativa al teatro, esposto e rappresent­ato in tutto il mondo. Inizia da subito a investigar­e le tracce dell’eros nel corpo, nelle sue miserie, nelle sue manipolazi­oni, nelle sue difficoltà: lui, che nemmeno ventenne comincia a dipingere col proprio sangue, ferendosi per emulare il Cristo sulla croce; che eleva a materiale aureo l’esoschelet­ro dello scarabeo, ossessivam­ente infilzato e studiato, e utilizzato anche per rivestire il soffitto della Sala degli Specchi del Palazzo Reale di Bruxelles; che nello spettacolo Quando l’uomo principale è una donna fa scivolare di continuo su un palco inondato d’olio d’oliva il corpo nudo di una danzatrice; che in L’histoire des larmes sospende uomini e donne nudi su recipienti di vetro per raccoglier­e le loro secrezioni; che nel 2013 organizza un acting-up sulle scale del municipio di Anversa da dove lancia gatti per aria; che in Mount Olympus porta in scena performer che per ventiquatt­ro ore rappresent­ano storie e personaggi mitologici in un’orgia di danza e sangue, lo stesso di cui è sporca Medea quando a un certo punto grida “Tutti gli uomini sono morti”.

Negli spettacoli e nelle opere di Fabre, proprio come durante antichi riti dionisiaci, colano sangue e sudore dai quali stilla Eros, la sola forza in grado di sporcare, cioè di rivelare. È perciò nel sangue e nel sudore che per l’artista scorre l’identità, che segue attento con il tratto della sua bic blu da cui non si separa mai.

Per questo, sono elementi anche della mostra milanese (che raccoglie non a caso le collezioni Folklore Sexuel Belge e Mer du Nord Sexuelle Belge): sono sporche le sculture Belgian shell tongue, un guscio intrecciat­o che si apre in una bocca che offre la sua lingua rossa, e Sexy barrel organ, un pensile istoriato da peni eretti e vagine; e sono sporchi i disegni, dove piccoli Cupidi e Veneri capriccios­e non smettono di nascere da conchiglie-uteri. Perché nascere non basta, suggerisce Fabre, che è stato definito “l’angelo della metamorfos­i”. Occorre rinascere: cioè sporcarsi per non morire.

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