Mario Sironi, l’“utile imbecille” del regime fascista, salvato dal partigiano Rodari
“Sironi è un imbecille!”, sbuffava Mussolini di fronte alle opere del pittore futurista. Le figure plastiche, iper compatte, dalla geometria portata all’estremo (“quei piedoni e quelle manone”), facevano imbestialire il duce, che però se lo teneva stretto. Per Farinacci era un “bolscevico esterofilo”.
Eppure, nonostante le critiche, Mario Sironi (1885-1961), sardo di nascita ma di sangue comasco, rimase fedele al fascismo fino alla fine. Nel partito trovò un guscio protettivo che gli diede notorietà. Poi, una volta dissolto, gli tolse tutto.
LA MOSTRA Mario Sironi. Un racconto del grande collezionismo italiano, allestita a Villa Bassi di Abano Terme (Padova) fino all’8 gennaio, ha il pregio di ripercorrere l’ascesa e la caduta di un’illusione. E lo fa attraverso 70 quadri provenienti da collezioni private del grande artista del 900: dalle satire politiche per Il Popolo d’italia alla pittura murale, fino alle opere “emarginate”, quelle realizzate dopo il 1945.
Nonostante avesse l’abitudine di non firmare (né datare) le tele, lo stile monumentale di Sironi è inconfondibile. Le forme solide e le pennellate nervose creano quasi delle architetture. A 14 anni dipinge il primo paesaggio marino, a tratti simbolista, ma già avviato al periodo futurista dei palazzi grigi e delle camere d’albergo vuote.
Quella di Sironi è un’arte lirica, che canta la solitudine e il dramma delle città moderne; proprio per questo poco assimilabile al trionfalismo della propaganda. Dopo la caduta del regime comincia la tragedia personale e politica dell’artista. Il 25 aprile 1945, mentre vaga spaesato per una Milano liberata, rischia la fucilazione. È il partigiano Gianni Rodari a riconoscerlo e salvarlo con un lasciapassare. Iniziano qui gli “anni della solitudine”, nei quali vengono alla ribalta i temi del destino e dell’apocalisse. Anche le figure diventano più rarefatte, i volumi si sfaldano: rimangono solo i contorni, mentre i colori volano via. Una “fuga” che il fascismo non gli avrebbe mai permesso.