Le eco-femministe ribelli nella Svezia di inizio Novecento
“Tutto dipende dalla donna e dal lombrico”. Lo sosteneva Elin Wägner, scrittrice svedese nata nel 1882, che, pur senza saperlo, dato che il termine non era ancora stato coniato, incarnò in pieno l’eco-femminismo.
IN LEI, FIGURA INTERESSANTE seppur scomoda per l’epoca, convivono femminismo (che deve contribuire alla pace sulla e con la Terra), pacifismo, ambientalismo, ecologismo e una notevole risolutezza di spirito. Punti fermi che riecheggiano anche nel romanzo d’esordio, Ragazze di città, uscito nel 1908 (115 anni portati splendidamente!) e ora tradotto per la prima volta in Italia, una narrazione di ambientazione urbana frizzante, ironica, attuale, incentrata su un gruppo di giovani donne in quel di Stoccolma che di patriarcato e maschilismo han piene le tasche. Audaci e battagliere se si considera che a inizio 900 non avevano diritto di voto, neanche nella ben moderna Svezia.
“Non ci sarebbero più stati giorni banali nella mia vita”, si ripromette nel suo diario la venticinquenne Elizabeth,
detta Pegg, protagonista e voce narrante, quando si trasferisce nella capitale svedese (come fece la stessa Elin, che lì divenne giornalista), “solo delle lunghissime montagne russe”. Invece si vede presto costretta, avendo anche un fratello a carico, ad accettare un impiego “presso un giudice distrettuale come tesoriera e addetta alla corrispondenza”. Non c’era altro da fare “e a volte, quando si è molto stanchi, si afferra ciò che si ha più a portata di mano”.
Per fortuna non è sola. Le ragazze della Banda di Norrtull, con cui condivide un appartamentino (cosa inaudita al tempo) nel quartiere residenziale di Vasastan, sono sinonimo di casa e sorellanza. Lei, Eva (sulla cui ottomana campeggia la scritta Gli uomini non devono, per nessun motivo, prendere posto sul divano delle signore!), Baby ed Emmy sono nubili e un po’ squattrinate. Lavorano come impiegate per necessità seguendo ritmi alienanti e facendo lo slalom tra uomini che un po’ ci provano e un po’ le detestano (“tolgono il pane di bocca, sono nel posto sbagliato, sono colpevoli del calo dei matrimoni”), ma anche per disfarsi del pensiero secondo cui l’unica via possibile è la fede nuziale e nella vita “più sei accomodante, prima finisce la lotta”.
Le ragazze di Wägner ce la mettono tutta per difendersi da soprusi, ingiustizie, abusi di potere, carovita e disparità salariali e coltivano desideri e ambizioni, ma sono umane e capita di cedere a qualche avance, soffrire per amore, chiedersi a che pro battersi per diritti e indipendenza quando potrebbero accasarsi e farsi mantenere e succede pure di fallire. Baby viene licenziata per avere aderito a una rivendicazione salariale dopo essere stata fomentata da Eva che incitava tutte a difendere la propria dignità e a scandalizzarsi per il fatto di essere pagate la metà degli uomini per lo stesso lavoro, “anzi, non per lo stesso, perché Dio solo sa che noi riusciamo a fare molto di più!” e poi sarà lei stessa a finire con l’anulare impegnato. Quando Pegg sta per lasciare Stoccolma, col cuore non proprio integro, scrive: “Sto qui seduta a guardarmi intorno in camera mia, nella casa della Banda di Norrtull: povera e imperfetta, ma comunque un piccolo baluardo contro il mondo dove abbiamo cercato riparo dalla solitudine”. A contare è aver fatto fronte comune.
Un inedito romanzo su una banda di donne giovani e volitive