L’opposizione russa e quei “messaggi in bottiglia” lanciati dalle aule di tribunale
Proteggi le mie parole è un libro collettivo pieno di messaggi in bottiglia. I messaggi sono le dichiarazioni lette in tribunale da persone accusate di vari reati collegati dall’opposizione al regime. Una “ultima parola”, un’autodifesa concessa in nome di una tradizione antica del potere russo, che rappresenta il lascito, il messaggio, appunto, che quei condannati, quegli oppositori, rivolgono al resto del mondo.
A raccogliere i testi di 25 testimonianze, 25 lettere che spiegano non solo la propria innocenza, ma che costituiscono anche una denuncia diretta dell’autocrazia russa, sono due rappresentanti di Memorial, l’associazione fondata da Andrej Sacharov e che nel 2022 ha ricevuto il premio Nobel per la pace. Sergey Bondarenko fa parte dell’organizzazione russa, mentre Giulia De Florio è del Memorial Italia. Sono loro a presentare la poslednee slovo, l’ultima parola. Quella di Alexei Navalny, e delle esponenti delle Pussy Riot fino agli arrestati che si sono opposti alla guerra in Ucraina. Si va dalla “tribuna politica” di Julija Galjamina alla ricostruzione storica di Jurij Dmitriev fino al resoconto dettagliato delle malattie subite da Sasa Skocilenko.
Fa bene, nell’introduzione, Marcello Flores a collegare queste dichiarazioni a una, purtroppo, antica tradizione russa, quella degli oppositori giustiziati o condannati e costretti a testimoniare, spesso come ultimo atto della loro vita, la repressione subita. Fossero i congiurati della rivolta decabrista del 1825 o l’autodifesa di Dostoevskij nel 1849 fino a quella di Nikolaj Bucharin durante il grande terrore staliniano. Oppositori di cui ricordarsi non solo quando fanno comodo per contestare Mosca, ma da ricordare sempre, anche quando con Mosca si preferiscono gli affari. E sebbene critici per il modo in cui l’occidente e l’italia affrontano il conflitto in corso, quei messaggi in bottiglia meritano di essere sostenuti.