“Scrivere è pericoloso ma elimina le tossine”
Il Sol Levante seduce da sempre generazioni di lettori a ogni latitudine: da Tanizaki a Mishima, dai due Nobel Kawabata e Oe, dai manga ai best-seller di Banana Yoshimoto. Forse anche in virtù di questa semina il 73enne Murakami Haruki si è conquistato un culto planetario che ne fa l’autore giapponese oggi più celebre e tradotto.
SE LA CRITICA SI ACCAPIGLIA
Dopo i romanzi “all’americana con tinte liriche giapponesi”, ora racconta le T-shirt
sul valore della sua opera – per taluni un “genio”, per talaltri un “venditore di fumo” – è pur vero che non c’è suo titolo che non scali le classifiche, dagli Usa all’europa. Qual è il segreto? Lo scarto è in uno “stile del romanzo all’americana tinteggiato dalla liricità giapponese”.
Murakami, traduttore di lungo corso, ha convertito in ideogrammi autori a stelle e strisce come Fitzgerald, Carver, Chandler, Hemingway, Faulkner. Per il suo esordio del 1979, Ascolta la canzone del vento, riscrive una seconda versione in inglese, scandita da frasi elementari, per poi ritradursi egli stesso in giapponese. Da allora la sua scrittura si distingue per essere appunto “occidentalizzata e reinventata.” A rendere ancora più attrattivo, fuori dai confini del Giappone, il “divismo” di Murakami sono talune eccentricità del suo privato. Si concede maratone di chilometri ogni giorno perché, come messo a punto in L’arte di correre, “scrivere è un’attività pericolosa ed è indispensabile eliminare le tossine”.
Collezionista di vinili e di matite, ha trasformato la sua passione per le magliette in un libro. Le mie amate T-shirt, in libreria per Einaudi, raccoglie foto e relative didascalie di magliette a tema surf, sul cibo con stampe di hamburger e ketchup, o altre ancora realizzate dagli editori di mezzo mondo per l’uscita dei suoi libri. Monomanie forse nate dalla sua solitudine di figlio unico, con un padre priore di un tempio buddista e una madre insegnante. Una formazione divisa tra libri e musica, culminata in un jazz club aperto a Tokyo con la moglie negli anni 70. Ne Il mestiere dello scrittore si legge: “Dai venti ai trent’anni ho lavorato dal mattino alla sera, sudando sangue, per pagare i debiti”. Un locale battezzato Peter Cat in onore di un gatto amatissimo. I gatti sono disseminati in tutta la sua bibliografia, tra romanzi e racconti, protagonisti al pari degli umani.
La vocazione letteraria? A ventinove anni decide di cambiare vita mentre segue una partita di baseball, colto da un’illuminazione che gli fa scrivere un incipit che vale come perenne dichiarazione di poetica: “Penso che ora racconterò una storia”. Due i romanzi che negli anni 80 contribuiscono alla sua consacrazione. Nel segno della pecora racconta di un pubblicitario costretto a cercare una pecora che ha impressa una chiazza a forma di stella. Norwegian Wood alterna le vicissitudini di tre donne, una minata dal suicidio del fidanzato, l’altra afflitta da problemi familiari, la terza angosciata da una colpa inesistente.
Murakami ha dichiarato: “Non piaccio né agli scrittori di consumo né ai letterati seri. Io sono a metà strada, cerco di fare qualcosa di nuovo. Scrivo storie strane, bizzarre”. In effetti i suoi romanzi si possono leggere come fiabe. Scompaiono e riappaiono persone, animali, oggetti. Come accade anche nel dittico L’assassinio del Commendatore, che si snoda su un pittore ritrattista e personaggi misteriosi che prendono vita da un quadro. Spesso entrano in scena figure sinistre come gli Invisibili che si agitano sotto la metropolitana di Tokyo ne La fine del mondo e il paese delle meraviglie. Una delle trame più visionarie si sublima in Kafka sulla spiaggia, storia parallela di due personaggi in fuga: un quindicenne da una profezia che riguarda la sua famiglia e un vecchio capace di parlare con i gatti da un delitto nel quale è stato coinvolto.
Le opere di Murakami conservano sempre un margine di inaccessibilità, permeati come sono da atmosfere oniriche alla David Lynch (non a caso lo scrittore è un fan del regista americano). Per paradosso lo stesso Murakami è ostaggio della sua stessa ispirazione: “Ne L’uccello che girava le viti del mondo ci sono brani che nemmeno io capisco”. Ecco allora che il successo di massa di questo scrittore – amato dai giapponesi perché anche occidentale e dagli occidentali perché giapponese fino al midollo – ha una ragione profonda nella capacità di restituire l’oriente nella sua parabola millenaria: “Tutte le cose passano, nessuno può afferrarle”.