L’UMANITÀ S’È ARRESA AL DIVANO
“Le sacre pantofole” di Bruckner Meno viaggi, più tiranni
L’Apocalisse è in arrivo: meglio non alzarsi dal letto. Terrorismo, sconvolgimenti climatici, pandemie, guerre e locuste: il mondo brucia, ma la casa non ancora, e così l’umanità, nel XXI secolo, si sta arrendendo al divano, alla vestaglia, alle Sacre pantofole stigmatizzate da Pascal Bruckner nel suo ultimo, guizzante pamphlet, in libreria da venerdì con Guanda.
SIMPATICO REAZIONARIO, philosophe libertario e acutissimo – intercettò già quarant’anni fa il declino dell’uomo bianco occidentale eterosessuale e poi l’eco-vandalismo –, l’autore si concentra ora “sulla fuga dal mondo” dei suoi contemporanei, esacerbata e accelerata dal Coronavirus e conseguenti lockdown, ma strisciante sin dall’inizio dei Duemila, giorno di grazia 11 settembre 2001. Al di là di fenomeni marginali e/o patologici, come i giovani hikikomori giapponesi reclusi nelle proprie camerette, la “grande ritirata” dentro le mura domestiche sta diventando paradigma diffuso, sulla scia dell’antieroe letterario di Goncarov: Oblomov, più che perdigiorno, è incapace di vivere; più dorme e più è stanco; è pigro non tanto e non solo perché non vuole lavorare ma perché “si è arreso di fronte all’esistenza come carico”. La malinconia lo porta alla noia e la noia lo riaccompagna alla porta della malinconia, della depressione, dell’inanità. Per questo i monaci si sono dati il labora (il lavoro) oltre che l’ora (la preghiera): per non impazzire.
La fuga in massa dal mondo è propiziata dai tanti trombettieri dell’apocalisse permanente, cantori di “pentimento e megalomania”, tra cui Bruckner annovera Greta Thunberg, “dispensatrice di fobie collettive”. E così molti scambiano il clima per le previsioni del tempo, “la nostra preghiera del mattino” e vespro alla sera, e la meteorologia s’è fatta pertanto religione, tenendoci in “allarme permanente”. Per l’autore – posizione intellettuale tra le più interessanti del saggio – destre ed ecologisti sono legati a filo doppio perché “il nuovo discorso nazionalista o climatico sfocia sempre nell’esortazione intimista”. Viaggiare dovrebbe essere proibito, per costoro; che ci si accontenti della “transizione... ma per andare dove?”. Varcare le frontiere è illegale (migranti), o pericoloso (batteri e virus), o inquinante (volare, guidare). E qui la riflessione si fa squisitamente politica: “Il cittadino-talpa è pregato di rimanere a letto, vale a dire sdraiato e al tempo stesso sottomesso”.
La paura rende schiavi: l’uomo ha sempre barattato la propria libertà per un briciolo di sicurezza, sostenevano i maestri del sospetto e sanno benissimo i despoti contemporanei, non solo nelle acclarate dittature. La “tirannia sedentaria” incombe anche sulla civilissima, democratica ed emancipata Europa, se i suoi cittadini si trasformeranno in monadi incomunicanti, sole, guardinghe, banali, annoiate e spaventate. Le “passioni negative” sono già tra noi, anzi imperano nei diktat “consumare meno, spendere meno” e nelle proteste “contro la carne, contro i vaccini”... Declinismo e catastrofismo dominano “il sentimento del tempo”, che è poi quello “della fine del mondo”.
Se la libertà spaventa, l’auto-reclusione va in soccorso spontaneo, ingenuo, acritico: la casa si fa tana, culla, “focolare uterino”, ma persino bunker, trincea o cella. Tanto il mondo resta a portata di mano, letteralmente, sullo smartphone, un “guinzaglio elettronico” con cui godere del “bovarismo” di essere sempre altrove e distratti, pur non muovendosi mai. Benché, chiosa il francese, “la realtà aumentata assomigli terribilmente a un’amputazione”. E basta poco perché il divano diventi letto, l’ozio pennichella e il sonno piccola morte.
Lo schermo è “la tisana degli occhi” e lo stress viene dalla routine, dalla ripetitività, dai fantasmi, ovvero i tempi morti: la cura, però, non è la calma, o la meditazione zen, ma un sano bagno di realtà. “Non si può invitare il vento, ma bisogna lasciare la finestra aperta” (© Krishnamurti), coltivare la “metafisica dello spiraglio” (© Bachelard), andare incontro agli imprevisti, all’aria in faccia, alla “dolce follia”, all’altro, agli altri. Che saranno pure l’inferno (©Sartre), ma sempre meglio dei social: “All’interno di me stesso, esisto solo esteriormente” (© Pessoa). Coltissimo, Bruckner snocciola maestri e citazioni, dalla caverna di Platone all’“esistenza a bassa quota” di Houellebecq, da Lévinas a de Maistre, il cui Viaggio intorno alla mia stanza (1795) è stato – forse non a caso – appena riedito in Italia da Feltrinelli.
“La vita all’interno” sta trionfando sulla “vita interiore”: meglio essere vegetali che lasciare un’impronta ecologica; l’eros è tossico, “in bancarotta”; il desiderio s’è fatto politico o identitario e infatti non lo prova più nessuno; l’amplesso è “sospetto”; l’amore sembra una guerra tra sessi e Baci rubati di Truffaut suona come Tentativo di molestia via #Metoo... Persino la maschera, giocoso travestimento teatrale, s’è tramutata in mascherina, museruola, bavaglio sulla “bocca oscena” e l’uniforme è passata dalla giacca-e-cravatta alla tuta, se non al pigiama. Orbene, in questi anni bui, “che cosa abbiamo imparato? A lavarci le mani. Un progresso immenso, non c’è dubbio, ma che non basta a garantirci un destino radioso”.