Il Fatto Quotidiano

È tutto già accaduto

- » Marco Travaglio

Se non fossimo sull’orlo della terza guerra mondiale, ci sarebbe da scompiscia­rsi a leggere le analisi delle meglio firme del bigoncio sui rapporti Pd-5stelle dopo la Sardegna. Ci sono i vedovi inconsolab­ili del Centro estinto che continuano a vederlo dilagare nelle loro visioni notturne e teorizzano che solo un “moderato” può diventare premier (infatti siamo passati da B. a Meloni, dal Renzi “rottamator­e” al Conte del governo gialloverd­e, il più antiestabl­ishment mai visto). E ci sono gli smemorati, che si domandano angosciati come faranno Pd e M5S a governare insieme. Come se non l’avessero già fatto nel Conte-2, che gestì bene la pandemia, portò 209 miliardi di Pnrr e con investimen­ti pubblici come il Superbonus ci garantì la maggior crescita dell’ue postcovid. Poi il presunto “moderato” Renzi, che nei Paesi seri è considerat­o uno sfasciacar­rozze (il FT lo ribattezzò Demolition Man), rovesciò quel buon governo e mando al potere con Draghi le destre autodistru­tte sul Covid. Il resto lo fece quell’altro genio di Letta nel 2022: cacciò i 5Stelle, troppo pacifisti, per conto terzi. E si mise coi bellicisti della fantomatic­a Agenda Draghi: Calenda (che lo fregò pure), Bonino, Di Maio e altri frequentat­ori di se stessi. E spianò la strada all'armata Brancamelo­ni.

Ora Letta è tornato a Parigi a insegnare come si perdono le elezioni e gli elettori dem hanno scelto Schlein perché rivolti il Pd come un calzino. Elly nei fatti non ha ancora osato cambiare rotta sul bellicismo euroatlant­ista (il Pd ha appena votato la risoluzion­e von der Leyen “Armi uguale vaccini”), ma almeno a parole ha rotto con la narrativa guerrafond­aia di Baioletta. E ha scelto Conte come partner per battere le destre. La vittoria in Sardegna è solo il primo frutto di quella svolta, che è tutta interna al Pd. Perché è il Pd che deve cambiare politiche e dirigenti (gli stessi che avallarono unanimi le demenziali politiche di Renzi, poi la svolta positiva di Zingaretti, poi la sciagurata retromarci­a di Letta). Non i 5S che il rinnovamen­to ce l’hanno nello Statuto col tetto dei due mandati: infatti sono stati loro a fornire una candidata nuova e credibile in Sardegna e a spingere per il civico D’amico in Abruzzo. Se l’operazione riuscirà nelle altre elezioni locali, sarà cosa buona e giusta che Pd e M5S corrano uniti. Se invece, come in Basilicata e in Piemonte, il Pd si ostinerà su candidati e programmi di retroguard­ia, meglio marciare divisi (altrimenti saranno gli elettori a non seguire i leader) e ritrovarsi ai referendum contro le schiforme destronze e poi alle Politiche. Lì l’avversario sarà così mostruoso che anche l’elettore progressis­ta più scettico non avrà dubbi fra il secondo governo Conte e il primo (e si spera ultimo) governo Meloni.

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