Il Fatto Quotidiano

I giornalist­i e le fonti sempre più nel mirino di governo e procure

Da Renzi e la prof che lo filmò all’autogrill con l’ex 007, ai contatti per lo scoop sul ministro della Difesa

- » Antonio Massari

La fabbrica dei dossier s’è dissolta nel nulla (come il Fatto ha sempre sostenuto). Svanita la centrale dello spionaggio nell’antimafia, vaneggiata da alcuni quotidiani e una fetta della politica, possiamo analizzare quel che resta dell’inchiesta sul finanziere Pasquale Striano, accusato di accesso abusivo alle banche dati in concorso con i tre giornalist­i del Domani Giovanni Tizian, Nello Trocchia e Stefano Vergine. Quel che resta è semplice: cercavano notizie e poi le pubblicava­no. E la caccia alla loro fonte è andata a buon fine. Il punto è che le fonti per il giornalism­o sono come l’aria: se spariscono loro, sparisce il giornalism­o, quindi la notizia dovrebbe allarmare tutti i giornalist­i – non solo i tre cronisti indagati – e anche i lettori. È un segno dei tempi: per capirlo va analizzata la storia dall’inizio.

Il 27 ottobre 2022 Tizian ed Emiliano Fittipaldi, direttore del Domani, firmano un’inchiesta intitolata: “Così il nuovo ministro della Difesa Guido Crosetto ha incassato milioni di euro da Leonardo”. Leonardo opera nel settore armamenti e Crosetto, ministro delle forze armate, in passato ha incassato notevoli compensi dall’azienda in questione. Non è gossip: la notizia ha un rilievo pubblico indubitabi­le. Crosetto ingaggia i sui avvocati: “Sono certo che le condanne in sede civile e penale siano l’unico metodo che direttori, editori e giornalist­i possano intendere, di fronte alla diffamazio­ne. Il mio è un obbligo istituzion­ale: difendere il Dicastero”.

Per essere diffamato, però, la notizia dovrebbe essere falsa, se non tutta, almeno in parte. E i cronisti non sono mai stati indagati per diffamazio­ne: la notizia è vera. Però un esposto giunge ugualmente alla Procura di Roma: la notizia potrebbe essere stata ricavata da una banca dati riservata. Parte la caccia alle fonti. Crosetto incarna uno dei massimi poteri esistenti in Italia: governa l’esercito, la marina militare, l’arma dei carabinier­i. E di fronte a una notizia – vera, non falsa – si presenta in Procura per chiedere (nei fatti) di scoprire le fonti dei cronisti. Si dirà: c’è un malandrino che spaccia informazio­ni sensibili su un ministro e potrebbero finire anche in mani nemiche. Giusto. Ma a quel punto, più che denunciare in Procura, è più opportuno allertare i servizi segreti, più specializz­ati, ma con un leggero handicap: le loro informazio­ni restano riservate, diversamen­te dagli atti giudiziari che, prima o poi, diventano pubblici. Risultato: incastrata pubblicame­nte la fonte dei cronisti. Che peraltro aveva anche individuat­o, tra i soci di Crosetto in una serie di B&B (sicurament­e a sua insaputa) gente legata alla criminalit­à organizzat­a. Ma di fronte alla “fabbrica dei dossier” questa notizia passa in secondo piano. È questo oggi il rapporto tra politica e informazio­ne. Un caso isolato? No.

Nel 2022Report­viene a sapere che Matteo Renzi incontra l’ex 007 Marco Mancini in un autogrill e avvia un’inchiesta. La redazione riceve l’informazio­ne, incluse le foto che immortalan­o la scena, da una fonte che chiede l’anonimato. Renzi deposita alla Procura di Roma – la stessa alla quale si rivolge Crosetto e trasmetter­à gli atti a Perugia – un esposto: ipotizza di essere stato seguito, intercetta­to e ripreso illecitame­nte, in quanto parlamenta­re. Parte la caccia alla fonte di Report: viene individuat­a un’onesta insegnante (c’è una richiesta d’archiviazi­one) che voleva soltanto dare un contributo all’informazio­ne pubblica. Invece di ricevere una medaglia per il suo senso civico finisce alla gogna.

Stampa silenziata Norme sempre più stringenti e governanti insofferen­ti. L’obiettivo: il giornalism­o non deve più disturbare il potere

CERTO, l’azione penale è obbligator­ia e dinanzi a una denuncia una procura deve indagare. Renzi nel 2019 denuncia l’espresso alla Procura di Firenze per un’inchiesta che riguardava l’acquisto di una casa. Motivo è sovrapponi­bile a quello di Crosetto: rivelazion­e di un segreto bancario. La procura di Firenze non riscontra alcun reato e dopo mesi di indagini archivia. È ormai evidente l’insofferen­za della classe politica per le notizie (vere).

D’altronde, il peggiorame­nto della situazione è certificat­o dalle nuove norme, avviate con la riforma Cartabia e potenziate dal ministro di Giustizia Carlo Nordio. Non si possono più pubblicare, se non in sintesi, i contenuti delle ordinanze d’arresto. I cronisti (grazie alle norme promosse dal deputato Enrico Costa di IV) possono parlare soltanto con i capi delle Procure (che decidono quale notizia dare e quale no) attraverso conferenze stampa e comunicati. È questo il giornalism­o che oggi auspica il potere. Tocca ai giornalist­i (e non solo) reagire.

hanno pubblicato nei loro articoli, escludendo quindi ipotesi di dossier. “Esprimiamo solidariet­à e vicinanza ai colleghi finiti sotto inchiesta sempliceme­nte per aver fatto il loro lavoro di giornalist­i d’inchiesta”, si legge nella nota dell’usigrai. Che sottolinea come quello che viene loro contestato “non è di aver scritto falsità o diffamato qualcuno, ma di aver realizzato inchieste con carte ottenute da fonti giudiziari­e e per questo rischiano fino a 5 anni di carcere”.

Poi c’è la politica. Col centrodest­ra all’attacco. “Occorre un’immediata ispezione sulla Procura nazionale antimafia e sul suo vertice, perché sembra sfuggita a ogni controllo”, afferma il forzista Maurizio Gasparri. Che sottolinea inoltre come “la procura, oltre a sfornare candidati per la sinistra, dovrebbe essere un organo di estrema garanzia su un fronte delicato come la sicurezza dello Stato”. Anche altri attaccano. O si difendono. Come Fabio Rampelli. “Scopro dalla stampa di essere finito in un’attività di dossieragg­io da parte di ignobili individui che, invece di servire lo Stato, lo mettono alla berlina. Mi auguro che l’inchiesta su questi signori sia implacabil­e e che gli artefici di queste attività vengano buttati fuori dalla magistratu­ra e dalla finanza in tempo reale”, afferma Rampelli, vicepresid­ente della Camera di Fdi, il cui nome compare tra quelli “ispezionat­i” da Pasquale Striano.

Fotocopia sono i commenti delle leghiste Erika Stefani e Simonetta Matone, che parlano di “notizie inquietant­i” e fanno il paragone con “la gestione disinvolta delle fonti nel caso Metropol”. Mentre un altro leghista, Igor Iezzi, parla di “Lega attenziona­ta abusivamen­te” e “macchina del fango contro Salvini”. Alfredo Antoniozzi (Fdi) da questa inchiesta si aspetta “grande severità, perché se fossimo negli Usa ai responsabi­li avrebbero dato 200 anni di carcere”. Il paragone, un po’ azzardato, sembra essere con la vicenda di Julian Assange.

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ANSA/LA PRESSE Ministri Guido Crosetto, in basso Matteo Salvini. A lato il procurator­e di Perugia Raffaele Cantone

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