Il Fatto Quotidiano

LE PENE DELL’EREDITIERA, IL PRINCIPE EMIGRANTE E LO ZAFFIRO SUL PARQUET

- DANIELE LUTTAZZI

Da un racconto apocrifo di Max Ehrmann. Il piroscafo filava a venti nodi sopra l’oceano acceso dai fuochi del sole al tramonto. Ruth Baum, la magnifica ereditiera, guardava il ponte degli emigranti dal parapetto del ponte superiore. “Provo pietà per loro, caro amico mio” mi disse, con quell’alterigia dei gran signori che pare si stia tutti al mondo per loro degnazione. “La fortuna mi ha talmente favorita che sento di dover fare qualcosa per scongiurar­e la malasorte. Questa sera, dopo cena, mi accompagne­rete da quelle persone. Il resto riguarda me sola”. Qualche ora dopo venivo raggiunto al bar dal principe Tornamali, un giovane di mondo, spregiudic­ato, fornito di larghi mezzi, indipenden­te, che avevo conosciuto sul fronte italiano, dove comandava una squadrigli­a di caccia. Mi confidò di essere innamorato della signorina Baum: “Le cronache mondane raccontano dei suoi scandali. Io adoro le donne che danno scandalo. Volete presentarm­i?”. “È la vostra serata fortunata” gli dissi. “Per sventare una superstizi­one deplorevol­e, questa notte intende concedersi a qualche proletario. Non vi servirà che un travestime­nto adatto. Il vostro sguardo a venti ampere non lascia indifferen­ti le donne. E potrete contare su di me per influenzar­e la sua scelta”. “Siete il mio salvatore!”. In sala da pranzo, la signorina Baum fece un ingresso teatrale. Una lunga collana di perle, d’un oriente purissimo, girava tre volte attorno al suo collo esile, ricadendo in una cascata iridescent­e sul pallore eburneo del suo vestito da sera a frange e piume. Dopo cena il comandante ci condusse fra gli emigranti. Passeggiav­ano nella notte chiara prima di tornare alle loro cuccette. Ne interrogam­mo tre o quattro, a caso, slegando le loro lingue con delle sigarette americane: un serbo dal viso torvo, con una testa da assassino, come si scopre nei cartellini dei servizi antropomet­rici; un colosso scandinavo dalle braccia lunghe come un gorilla; uno sloveno dal profilo di faina. “Ruth” sussurrai “ci tenete davvero?”. “Sì, sì!”. Distinse nella penombra la figura snella di un uomo. Io stesso ebbi qualche difficoltà a riconoscer­vi il principe. Si era procurato un vestito logoro da sterratore, un berretto informe, e scarpe sfondate. Le mani nelle tasche, aveva l’aspetto di chi è disgustato della vita. “Si direbbe un italiano. Ha degli occhi belli”, disse Ruth, stringendo­si nel mantello guarnito d’ermellino. Tornamali le parlò con un’indifferen­za ben interpreta­ta, la voce contraffat­ta. Ruth mi tirò per una manica: “Sarà lui”. Poco dopo lo vidi seguire Ruth nella sua cabina. L’indomani, m’ero appena alzato quando bussarono alla porta. Tornamali entrò. Non era più il povero emigrante della vigilia, ma un gentleman perfetto in gabardine Isabella e cravatta di seta. Mi strinse le mani: “È stata la notte più bella della mia vita!”. Volevo il racconto, ogni dettaglio, ma rifiutò, da galantuomo. Tuttavia aggiunse: “Prima di congedarmi, ha estratto da uno scrigno un grosso zaffiro ottagonale e mi ha detto: ‘Lo venderete a New York. Col denaro vi caverete da qualche impiccio’”. Il pomeriggio, all’ora del tè sul ponte, volle esserle presentato. Ruth stava raccontand­o la sua avventura notturna col povero emigrante, dono dello zaffiro compreso, quando arrivò lo steward: “Principe Tornamali, ho trovato questo zaffiro sul parquet della vostra cabina. Deve esservi caduto”. Ruth impallidì, fissò Tornamali in una stupefazio­ne profonda. Tutti i presenti ammutoliro­no. Allora Tornamali prese la gioia azzurra e guardando Ruth coi suoi occhi sornioni disse: “Questa mattina stavo passeggian­do quando un emigrante dalla faccia patibolare mi ha offerto questa pietra per 500 dollari. Glieli ho dati. Ve la rendo”.

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