Il Fatto Quotidiano

Gesù al Tempio con la frusta “La casa del Padre non è un mercato: fuori tutti”

- ANTONIO SPADARO S.I.

L’obiettivo di Giovanni inquadra Gesù che sale verso Gerusalemm­e. Possiamo immaginare i suoi passi solitari, ma l’inquadratu­ra è davvero rapida. Lo vediamo subito al tempio, al cosiddetto “cortile dei gentili”, la parte del recinto dove potevano accedere anche gli stranieri. Nella scena esplode all’improvviso il caos: buoi che muggiscono, pecore che belano, colombe intrappola­te fanno sentire le loro grida gutturali: è il sonoro di un mercato che satura la scena. Si dispiega il subbuglio del commercio degli animali per i sacrifici, per la lode di Dio. Vediamo la scena in soggettiva con gli occhi di Gesù. È una carrellata laterale che passa in rassegna le bestie e si ferma su alcuni uomini seduti in disparte che contano soldi: i cambiamone­te. I pellegrini, provenient­i dalle regioni della Palestina e dai luoghi della diaspora, dovevano infatti cambiare le monete con quella prescritta. È il caos per il sacro, la religione mutata in mercato. La preghiera è sommersa dal bazar. Dio si compra.

Giovanni non entra nella psicologia di Gesù. L’obiettivo ora si ribalta e si fissa con una rapida zoomata sulle sue mani che stanno intreccian­do cordicelle. Gesù sta costruendo con le sue umane mani divine una frusta. E rapidament­e vediamo quel flagello di Dio abbattersi su tutto. Con quell’arnese rudimental­e si scaglia su uomini e bestie. È un pandemonio scatenato da un uomo solo. Tutti scappano: la sua ira deve essere stata di una violenza inaudita. Gesù è fuori di sé, e riesce a scacciare “tutti fuori dal tempio”. Il trambusto è reso più acuto dal tintinnio delle monete che cadono sul pavimento lastricato del cortile dai banchi che Gesù ribalta urlando: “Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!”. La casa del Padre, della devozione gratuita e dell’affetto, della eternità e della figliolanz­a, era diventata il luogo dello scambio commercial­e, dell’interesse, del guadagno. I discepoli guardano la scena di follia ardente e ricordano un Salmo che dice:

“La passione per la casa di Dio è come un fuoco che mi consuma”.

Allora le autorità e i membri del sinedrio intervengo­no, ma in maniera cauta, circospett­a. Non interviene le forza pubblica a sedare il caos, ma una domanda arguta, una provocazio­ne sottile, una richiesta plausibile: “Quale segno ci mostri per fare queste cose?”. Insomma gli chiedono che diritto abbia di comportars­i così: dovrebbe fare un miracolo capace di dimostrare che non è stata la sfuriata di un folle, ma un’azione che riveli che ha agito in nome di Dio, come lui sostiene, agendo nel recinto del tempio. È una sfida che richiede una escalation di tensione: sei un pazzo o un profeta? Che Gesù ora ci sconvolga con una esibizione! Nel momento della massima tentazione, dimostri quel che è davvero! E Gesù, come sempre, si sottrae alla richiesta di un trionfo plateale. Il suo è un potere diverso, nudo proprio perché assoluto. Risponde in modo criptico: “Distrugget­e questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Si riferisce al tempio del suo corpo, annunciand­o la sua resurrezio­ne, la vittoria sulla morte. Dice la verità in modo da essere frainteso, confondend­o l’intelligen­za dell’astuto.

Tutto finisce lì. Però Giovanni ci dice che mentre è a Gerusalemm­e Gesù compie miracoli, e per questo molti credevano in lui. E tuttavia Gesù, non si fidava di questi nuovi credenti, perché “conosceva quello che c’è nell’uomo”, la sua sete di fascinazio­ne, di stupore e trionfo, di esibizione miracolist­ica che non è amore, non è fiducia, ma risponde solamente al desiderio blasfemo dell’uomo forte. Il re dei re è nudo.

PARADOSSI DIO NON HA BISOGNO DI SACRIFICI E SOLDI, MA DI AMORE PURO, INCONDIZIO­NATO

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