Gesù al Tempio con la frusta “La casa del Padre non è un mercato: fuori tutti”
L’obiettivo di Giovanni inquadra Gesù che sale verso Gerusalemme. Possiamo immaginare i suoi passi solitari, ma l’inquadratura è davvero rapida. Lo vediamo subito al tempio, al cosiddetto “cortile dei gentili”, la parte del recinto dove potevano accedere anche gli stranieri. Nella scena esplode all’improvviso il caos: buoi che muggiscono, pecore che belano, colombe intrappolate fanno sentire le loro grida gutturali: è il sonoro di un mercato che satura la scena. Si dispiega il subbuglio del commercio degli animali per i sacrifici, per la lode di Dio. Vediamo la scena in soggettiva con gli occhi di Gesù. È una carrellata laterale che passa in rassegna le bestie e si ferma su alcuni uomini seduti in disparte che contano soldi: i cambiamonete. I pellegrini, provenienti dalle regioni della Palestina e dai luoghi della diaspora, dovevano infatti cambiare le monete con quella prescritta. È il caos per il sacro, la religione mutata in mercato. La preghiera è sommersa dal bazar. Dio si compra.
Giovanni non entra nella psicologia di Gesù. L’obiettivo ora si ribalta e si fissa con una rapida zoomata sulle sue mani che stanno intrecciando cordicelle. Gesù sta costruendo con le sue umane mani divine una frusta. E rapidamente vediamo quel flagello di Dio abbattersi su tutto. Con quell’arnese rudimentale si scaglia su uomini e bestie. È un pandemonio scatenato da un uomo solo. Tutti scappano: la sua ira deve essere stata di una violenza inaudita. Gesù è fuori di sé, e riesce a scacciare “tutti fuori dal tempio”. Il trambusto è reso più acuto dal tintinnio delle monete che cadono sul pavimento lastricato del cortile dai banchi che Gesù ribalta urlando: “Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!”. La casa del Padre, della devozione gratuita e dell’affetto, della eternità e della figliolanza, era diventata il luogo dello scambio commerciale, dell’interesse, del guadagno. I discepoli guardano la scena di follia ardente e ricordano un Salmo che dice:
“La passione per la casa di Dio è come un fuoco che mi consuma”.
Allora le autorità e i membri del sinedrio intervengono, ma in maniera cauta, circospetta. Non interviene le forza pubblica a sedare il caos, ma una domanda arguta, una provocazione sottile, una richiesta plausibile: “Quale segno ci mostri per fare queste cose?”. Insomma gli chiedono che diritto abbia di comportarsi così: dovrebbe fare un miracolo capace di dimostrare che non è stata la sfuriata di un folle, ma un’azione che riveli che ha agito in nome di Dio, come lui sostiene, agendo nel recinto del tempio. È una sfida che richiede una escalation di tensione: sei un pazzo o un profeta? Che Gesù ora ci sconvolga con una esibizione! Nel momento della massima tentazione, dimostri quel che è davvero! E Gesù, come sempre, si sottrae alla richiesta di un trionfo plateale. Il suo è un potere diverso, nudo proprio perché assoluto. Risponde in modo criptico: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Si riferisce al tempio del suo corpo, annunciando la sua resurrezione, la vittoria sulla morte. Dice la verità in modo da essere frainteso, confondendo l’intelligenza dell’astuto.
Tutto finisce lì. Però Giovanni ci dice che mentre è a Gerusalemme Gesù compie miracoli, e per questo molti credevano in lui. E tuttavia Gesù, non si fidava di questi nuovi credenti, perché “conosceva quello che c’è nell’uomo”, la sua sete di fascinazione, di stupore e trionfo, di esibizione miracolistica che non è amore, non è fiducia, ma risponde solamente al desiderio blasfemo dell’uomo forte. Il re dei re è nudo.
PARADOSSI DIO NON HA BISOGNO DI SACRIFICI E SOLDI, MA DI AMORE PURO, INCONDIZIONATO