Sogno o invece incubo? Altro che Freud, ora ci pensa Internet
Ibuoni consigli si danno gratis. Ammetto che non è sempre così, tuttavia il fatto che segue conferma la regola testé annunciata. È un tardo pomeriggio che invita a uscire di casa dopo giorni di pioggia assidua e sui volti di parecchi, compreso il mio, è steso un sorrisetto timido, anche un po’ fesso in verità, che esprime la gioia di poter camminare in santa pace senza ombrello, fermandosi anche a cacciar due balle e addirittura, volendo, sedersi all’esterno di un locale per riprendere la buona abitudine di oziosi conversari. È così che, grazie alla gioia fuori controllo indotta dalla clemenza del tempo, ascolto il resoconto che viene offerto al tavolino alle mie spalle. Trattasi di relazione circa un sogno notturno avuto dal relatore in persona che non si spreca nel dispensare i particolari dello stesso. Particolari che, all’ascoltatrice attenta seduta in fronte a lui, di lì a un po’ permettono di sollevare un’obiezione: non è un sogno ma un vero e proprio incubo. Pur se non direttamente coinvolto nella chiacchiera mi trovo assolutamente d’accordo: la sostanza del fatto, che si completa con il più classico dei risvegli notturni, sudore, respiro affannoso, disorientamento e infine ritorno alla realtà quotidiana, che potrà essere banale ma in casi come questo è quanto mai ben accetta. Ora, esaurito il resoconto dell’incubo il problema che si pone, visto che il tempo è bello e non c’è nessuna fretta di tornare a casa, è quello di capire cosa diavolo abbia provocato un incubo siffatto. Anche le sedie di quello stesso locale sanno che i sogni veicolano messaggi criptici, talvolta oscuri. E non è proprio il caso di adagiarsi su primitive spiegazioni come quella di aver consumato una cena troppo pesante o di essersi abbandonati alla visione di un film orrorifico. Così che il consiglio, gratuito, scocca in sintonia con l’ultimo raggio di sole che sembra gettare luce sul problema. “Prova a andare su internet”. Con buona pace di Artemidoro e Sigi Freud.