Il Fatto Quotidiano

La gallina che canta

- » Marco Travaglio

Anche sulla strage di Mosca invidiamo le certezze dei cosiddetti esperti: quelli che un minuto dopo sapevano già che l’ucraina c’entrava o non c’entrava, o era stato l’isis, anzi gli islamisti caucasici, o forse i ceceni, o magari le milizie russe filo-ucraine, o più probabilme­nte Putin si era fatto l’attentato da solo. Quando impareremo a considerar­e questi sedicenti analisti per volgari propagandi­sti di Putin o di Biden&zelensky, oppure ultras che descrivono il mosaico geopolitic­o come una lotta fra cowboy e indiani o fra curva nord e sud, sarà sempre tardi. L’isis, lo Stato islamico sunnita sorto fra Iraq e Siria sulle ceneri del regime di Saddam spodestato dagli sciiti col nostro astuto appoggio, ha molte ragioni per detestare Putin, nemico del jihadismo in Cecenia, Siria&c. (perciò piaceva tanto ai “buoni” fino al 2022). Anche gli afghani lo odiano: è figlio della Russia che nel 1979 li invase e nel 2001 concesse lo spazio aereo all’operazione Enduring Freedom anti-talebani. Quindi la pista Isis, profetizza­ta con mirabile tempismo da Usa e Uk, è plausibile, anche se mancano simboli e slogan jihadisti e la tensione fra quel mondo e Mosca è un po’ vecchiotta.

Poi c’è la pista ucraina, molto più attuale, subito negata da Usa e Kiev prim’ancora che Mosca la evocasse. Putin, dopo gli arresti dei presunti stragisti, ha detto che fuggivano verso una “finestra aperta” in Ucraina: accuse tutte da provare (se pure fosse vero che fuggivano non in Bielorussi­a, ma nella zona di Kharkiv presidiata dalle truppe ucraine, non è detto che il governo lo sapesse). Ma sarebbe più facile smentirle se Kiev non fosse usa alle menzogne più spudorate e non avesse cantato per prima come la gallina che ha fatto l’uovo. Venerdì sera il portavoce dei servizi militari ucraini Andriy Yusov ha definito la strage “una provocazio­ne deliberata del regime di Putin”, che “vuol finire la carriera con crimini contro i suoi stessi cittadini”. Cioè a uccidere i 150 russi e a guastare l’immagine di Putin è stato Putin: una scemenza che alimenta i peggiori sospetti. Al pari del mantra “Noi non pratichiam­o il terrorismo”, smentito dall’autobomba che a Mosca uccise Darya Dugina, figlia del filosofo amico di Putin (attentato negato da Kiev e poi risultato opera sua); e dalla distruzion­e dei gasdotti Nord Stream, che qualche buontempon­e atlantista tentò di attribuire al solito Putin e invece fu quasi certamente ucraino con l’aiuto di servizi occidental­i. Il 7 ottobre, dopo il pogrom in Israele, Zelensky sentenziò: “Dietro Hamas c’è Putin”. E fu sbugiardat­o dall’ambasciato­re israeliano a Mosca: “Totali assurdità, pure teorie del complotto”. Se il regime ucraino vuole apparire estraneo all’ultima strage, è meglio che taccia: appena parla, sembra subito colpevole.

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