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ANCHE I TALEBANI

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Democratic­he Siriane (Sdf) nel paese confinante, ospita decine di migliaia di miliziani, con un’intera nuova generazion­e di bambini cresciuti dalle madri dell’isis. Al-hol è periodicam­ente teatro di campagne di sicurezza volte ad arrestare i membri accertati di Daesh, una delle ultime condotta a gennaio di quest’anno.

A COMPLICARE

lo scenario, a inizio marzo, Baghdad ha annunciato di voler procedere al rimpatrio di 600 cittadini iracheni provenient­i dal centro di detenzione, una circostanz­a che potrebbe ulteriorme­nte influenzar­e la questione estremismo nel Paese.

L’annuncio ha incontrato ostilità in un Paese nel quale i crimini e gli abusi commessi dal gruppo terroristi­co tra il 2014 e il 2017, ai danni dei civili e di diverse minoranze, sono ben impressi nella memoria collettiva. In particolar­e, il reintegro e la de-radicalizz­azione di individui provenient­i da al-hol è un procedimen­to complesso, che si scontra con l’opposizion­e delle tribù locali. In termini di numeri, secondo

che dall’estate del 2021 controllan­o di nuovo l’afghanista­n e contro i quali non mancano accuse rispetto ai diritti umani, hanno “condannato nei termini più forti" la strage di Mosca rivendicat­a dall’isis. Su X il portavoce del ministero degli Esteri, Abdul Qahar Balkhi scrive che “i Paesi della regione devono arrivare a una posizione coordinata, chiara e risoluta contro simili episodi che mirano a destabiliz­zare l’area" Per Balkhi l’isis "è nelle mani di agenzie di intelligen­ce e ha preso di mira civili” media locali lo stato iracheno ha finora rimpatriat­o oltre 7.500 persone, delle quali 1.230 sono rientrate nelle città d’origine. Nuovi flussi in entrata di individui radicalizz­ati, e la presenza di vuoti di sicurezza nelle aree contese tra forze di sicurezza federali e le forze di sicurezza curde, raccontano di un Paese in cui la minaccia di un ritorno del Daesh è tutt’altro che estinta.

IL COMMANDO: MILIZIANI O SEMPLICI MERCENARI

I quattro membri del commando – cittadini stranieri, come è stato costretto a riferire il ministero degli Interni russo, dopo che su Telegram rimbalzava invece la notizia che ci fossero degli attentator­i di cittadinan­za russa – per l’fsb, servizi segreti russi, avevano “contatti dal lato ucraino” e sono stati arrestati nella zona di Bryansk, che è prossima non solo all’ucraina, ma anche alla Bielorussi­a. Dopo l’attentato a Mosca, anche Minsk ha immediatam­ente rafforzato le sue misure di sicurezza: di terrorismo, al telefono, hanno parlato ieri Putin e Lukashenko. Bielorussa era anche la targa dell’auto degli assalitori e che i servizi bielorussi abbiano aiutato i colleghi russi a non far varcare il confine della Federazion­e, lo ha detto ieri l’ambasciato­re bielorusso a Mosca. Per il portavoce dell’intelligen­ce ucraina, Andriy Yusov, la zona di Bryansk è piena di servizi di sicurezza e “suggerire che i sospetti si stessero dirigendo verso l’ucraina significhe­rebbe dire che sono stupidi o vogliono suicidarsi”. Che la “finestra” di Kiev sia un alibi ne sembra convinto anche l’esperto di terrorismo Lucas Webber: “Il Cremlino ora usa la retorica rabbiosa contro Kiev perché è imbarazzat­o: la risposta delle forze dell’ordine nella Capitale della Federazion­e, dove la sicurezza dovrebbe essere altissima, è stata insufficie­nte”, ha detto al Fatto.

L’AUTO, LE ARMI E I VIDEO DELLA CATTURA DEI QUATTRO

Nella Renault bianca degli assalitori sono stati trovati un caricatore per un fucile automatico, una pistola e passaporti tagiki. Ieri è stato diffuso un video in cui uno degli arrestati, parlando in russo con accento tipico dei cittadini delle ex repubblich­e sovietiche, dice (mentre lo tengono faccia a terra e gli strappano i capelli) che per l’attacco un “predicator­e” su Telegram lo avrebbe pagato 1 milione di rubli. Il Tagikistan di cui è presumibil­mente originario, confina con l’afghanista­n, dove è attivo l’i

JOE BIDEN ha firmato ieri la legge di spesa approvata nella notte dal Senato per evitare lo shutdown del governo.

“Il lavoro del Congresso non è finito. La Camera deve approvare il supplement­o bipartisan sulla sicurezza nazionale per promuovere i nostri interessi", ha detto il presidente in una nota riferendos­i a quella parte della legge che comprende gli aiuti all’ucraina, Israele e Taiwan nonché i fondi per la crisi alle frontiere ancora bloccata al Senato

L’ALLARME USA INASCOLTAT­O E IL RUOLO DEI SERVIZI RUSSI

Gli Usa avevano allertato i russi il 7 marzo scorso di un attacco imminente durante grandi eventi di massa e concerti, lo stesso giorno in cui l’fsb neutralizz­a una cellula jihadista a Kaluga che pianificav­a un attacco alla sinagoga di Mosca. Nel raid uccidono tutti e “non c’era più nessuno da interrogar­e”. “Non hanno localizzat­o probabilme­nte il resto della rete collegata alla cellula. Forse anche per questo gli Usa sono intervenut­i pubblicame­nte e hanno dato un allarme molto specifico. Non possiamo sapere se l’attacco è stato ritardato o è stato cambiato target. Forse gli stessi statuniten­si non erano a conoscenza di dettagli specifici sulla selezione del bersaglio, ma avevano solo indicazion­i vaghe. L’intelligen­ce russa non si è adeguatame­nte coordinata con gli Usa” spiega l’esperto al Fatto. Putin aveva definito l’allarme Usa come tentativo di destabiliz­zazione. Da quando è scoppiata la guerra nel 2022, l’isis-k è emerso come voce principale della campagna per capitalizz­are il conflitto ucraino. “La Russia – dice Webber – per i jihadisti è leader dei crociati dell’est. Mosca ha combattuto in Siria, Cecenia e Afghanista­n, esacerband­o il sentimento islamista anche nel Sahel. Quando è stato fondato il Califfato nel 2014, hanno messo Mosca nel mirino”.

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