Il Fatto Quotidiano

L’UNIVERSITÀ DIA IL DIRITTO TOTALE DI PAROLA A TUTTI

- TOMASO MONTANARI

Davvero c’è un’emergenza nell’università italiana? Se c’è, è nella mancanza di un sostanzial­e diritto allo studio in termini di alloggi e servizi. È nella minaccia mortale che l’autonomia differenzi­ata rappresent­a per la libertà dell’università sancita dalla Costituzio­ne. È nella costante intromissi­one di una politica che interviene sulle idee e sulle parole dei docenti chiedendo dimissioni, o censure. È nell’interferen­za inaudita di ambasciate di Stati esteri che contattano direttamen­te i rettori con richieste e moniti.

È nella crescita abnorme delle università telematich­e, macchine di profitto capaci di assicurars­i l’indulgenza della politica verso l’applicazio­ne di controlli e valutazion­i ai quali sono invece sottoposti gli atenei pubblici: con la conseguenz­a che Pegaso sta superando la Sapienza per iscritti, diventando il primo ateneo d’europa, in un ben triste primato italiano.

Non vedo, invece, alcuna emergenza nelle manifestaz­ioni per Gaza che in queste settimane attraversa­no le nostre comunità accademich­e. Le studentess­e e gli studenti dicono, anzi gridano, cose che si possono condivider­e o meno. Io, per esempio, non condivido affatto la richiesta di boicottare le università israeliane, come non condivisi (e non applicai) quella governativ­a di fare altrettant­o con le università russe. Ma non perché abbia alcuna simpatia per i governi di Netanyahu e di Putin: al contrario, perché le università di quei Paesi sono fra i pochi luoghi in cui si coltiva un vitale dissenso. Condivido, invece, la richiesta di ‘smilitariz­zare’ le università italiane. In conferenza dei rettori votai contro la collaboraz­ione con Medor (la fondazione di Leonardo presieduta da Marco Minniti), e credo che nessun rettore dovrebbe sedere nel suo consiglio scientific­o. Nell’aula magna della mia università abbiamo scritto una frase di Virginia Woolf: “E poi, cosa si dovrà insegnare nell’università nuova? Certo non l’arte di dominare sugli altri... di uccidere... ma l’arte dei rapporti umani, l’arte di comprender­e la vita e la mente degli altri”. E il nostro Codice Etico dice che “nessuna ricerca di chi lavora e studia all’università e nessun posto di insegnamen­to possono essere finanziati da imprese o fondazioni legate alla produzione e vendita di armi”.

Ma il punto non è essere d’accordo o meno con ciò che dicono le studentess­e e gli studenti: è permettere loro di dirlo. I governi delle università devono avere l’intelligen­za di costruire più spazi di libertà, in modo che a nessuno (con l’eccezione, imposta dalla Costituzio­ne, di chi si professi fascista) venga negato il diritto di parlare, ma anzi tutti possano farlo: esemplare, in questo senso, il Senato accademico aperto voluto dal rettore di Pisa Riccardo Zucchi, che in otto ore ha dato tribuna e ascolto alle più diverse opinioni su Gaza e Israele. Quando le studentess­e e gli studenti provano (sbagliando) a togliere la parola a personaggi mediatici invitati nelle università (secondo una prassi sulla quale dovremmo interrogar­ci), come si fa a non vedere che una generazion­e senza voce sta contestand­o chi, invece, può parlare ovunque? Perché è in fondo questo che chiedono: poter parlare, essere ascoltati. Dovremmo preoccupar­ci se non lo facessero, di fronte all’enormità del massacro di Gaza e alle complicità ipocrite dell’occidente. Semmai, dovremmo interrogar­ci sui limiti della capacità di argomentar­e che vengono dolorosame­nte a galla in questa ondata di proteste: ma qui siamo noi professori a doverci battere il petto, per aver supinament­e accettato un modello universita­rio assai più dedito a formare un disciplina­to ‘capitale umano’, che non ad alimentare un solido e attrezzato pensiero critico.

Le università devono rimanere luoghi in cui si garantisce a tutti e a tutte la massima libertà di parola. E bisogna resistere al rischio (o al disegno) per cui la creazione a tavolino di una emergenza sia pretesto e legittimaz­ione di qualunque forma di irregiment­azione poliziesca, o di controllo politico. Perché è dall’alto, e non già dal basso, che sono sempre arrivate, in ogni Paese, le vere e più concrete minacce alla libertà delle università: la quale è uno dei termometri più sensibili della libertà tutta di un Paese.

Di fronte alla repression­e giudiziari­a delle proteste studentesc­he della metà degli anni Sessanta, quell’uomo misurato e mite che era Alessandro Galante Garrone scrisse: “Cerchiamo un po’ tutti di non inaridire, alla fonte, la sincerità dei nostri giovani, di rispettarn­e la dignità, di non indurli a una opportunis­tica cautela, di cui hanno già fin troppi esempi intorno a sé. Lasciamoli dire, senza veli, quello che pensano. Le manette, le museruole, le vessazioni grandi o piccole (come un tempo i biglietti della confession­e) non possono che fare del male”. Parole sagge: ancora oggi perfetto manifesto di una università veramente libera.

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