Il Fatto Quotidiano

.CENT’ANNI DOPO. .MATTEOTTI CHI? .

- » MARCO LILLO

Da un mese a Roma, c’è una bellissima mostra della quale si sta parlando troppo poco: quella su Giacomo Matteotti a Palazzo Braschi. Il 10 giugno ricorre il centenario dell’omicidio del giornalist­a e politico socialista, e la scena che si vede arrivando nell’atrio del palazzo settecente­sco all’inizio apre il cuore: decine di persone in fila per fare i biglietti, coppie, famiglie e giovani.

Li immagini pronti a tirare fuori 11 euro a testa per salire d’un fiato lo scalone (l’ascensore è rotto) e rendere omaggio al martire della libertà, nei saloni del palazzo che ospitava il partito fascista repubblica­no. E invece no. Le mostre sono due con un’unica biglietter­ia e sono quasi tutti lì per l’arte di “Ukiyoe - Il Mondo Fluttuante. Visioni dal Giappone”. Proprio così. La storia di Matteotti interessa meno del “genere pittorico nato in epoca Edo (1603-1868) che include rotoli da appendere”. Peccato. La mostra di Matteotti, davvero interessan­te, moderna e attuale, (si pensi al suo pacifismo radicale) evidenteme­nte è stata pubblicizz­ata meno delle opere di “Kitagawa Utamaro, Katsushika Hokusai, Toshusai Sharaku, Keisai Eisen e la grande scuola Utagawa”.

Il rapporto di visitatori tra Ukiyoe e Matteotti è 10 a 1, ci spiega la commessa in divisa. Dall’inaugurazi­one le scolaresch­e in visita si contano sulle dita di una mano. Gli studenti delle scuole del centro, con i loro collettivi antifascis­ti, non sono pervenuti. Eppure poche centinaia di metri separano i licei storici, spesso occupati, da Matteotti.

Più ti aggiri tra i pochi visitatori ultracinqu­antenni più l’inquietudi­ne si trasforma in rabbia. Perché questa mostra è pensata per i giovani. Non solo perché multimedia­le ma soprattutt­o perché “dritta” come dicono quelli che si intendono di comunicazi­one. Senza gomiti, fronzoli, intellettu­alismi e eccessivi garantismi. Il suo curatore, lo storico Mauro Canali, allievo di Renzo De Felice, conosce come nessuno gli atti processual­i e ha avuto il coraggio di sgombrare il campo dalle ambiguità che sopravvivo­no cento anni dopo su movente e mandante dell’omicidio. Alla presentazi­one il 29 febbraio lo ha detto chiaro: “I documenti parlano chiaro: Mussolini ha dato l’ordine di uccidere Matteotti. Punto”. Canali ha ritrovato nell’archivio centrale le lettere ricattator­ie del killer, Amerigo Dumini, scritte nel carcere e dirette a Mussolini tramite l’avvocato Vaselli. La tesi dichiarata è che Mussolini ordinò la morte di Matteotti non per quel che aveva detto il 30 maggio 1924 in Parlamento sull’invalidità delle elezioni ma per il discorso che avrebbe potuto tenere il giorno dopo l’uccisione. Matteotti l’11 giugno 1922 avrebbe accusato di corruzione i vertice del regime probabilme­nte da parte di una società americana, la Sinclair Oil. A supporto di questa tesi, che altri storici in passato non hanno validato, sono esposti alcuni documenti: la copia originale del giornale inglese English Life sul quale uscì postumo l’articolo di Matteotti che denuncia la corruzione dei fascisti, primo annuncio generico di quel che Matteotti avrebbe potuto svelare, probabilme­nte forte dei documenti che gli furono strappati dalle mani prima di ucciderlo. Mai ritrovati.

Nella lettera-testamento (esposta) il killer Amerigo Dumini ammette il mandato di uccidere e ne fa balenare il movente. Canali sintetizza così il senso della lettera: “io ho ricevuto l’ordine di uccidere Matteotti per tappargli la bocca perché l’11 giugno 1924 avrebbe denunciato la corruzione legata al petrolio”. Dumini scrive: “si diceva anche che egli (Matteotti, Ndr) avesse in mano le prove di certi imbrogli nei quali si mescolavan­o in una promiscuit­à maleodoran­te e abbastanza lacrimevol­e un certo affare di petrolio, di borsa e di cambi in cui sembrava essere implicato perfino il fratello del capo del governo”, cioé Arnaldo Mussolini, che ha sempre negato.

Canali valorizza le accuse di Dumini sui suoi mandanti politici e le raccorda alla cosiddetta ‘Amnistia Dumini’ approvata anche per salvare gli esecutori. Le lettere originali del killer dirette a Mussolini sono il piatto forte di questa sezione della mostra. “Quelle lettere – spiega Canali – sono state intercetta­te dai partigiani mentre Mussolini in fuga le stava portando via. Le ho trovate dopo un lunga ricerca negli archivi e sono chiare. L’assassino di Matteotti scrive ‘io ho eseguito i vostri ordini e quindi tiratemi fuori dal carcere altrimenti parliamo’”.

La mostra è stata pensata per invogliare anche i non appassiona­ti a entrare nella storia. Fanno effetto le foto del solito Dumini eleganteme­nte vestito davanti a un tavolo imbandito, in cella. Non sembra un omicida recluso ma un re servito e riverito purché usasse la bocca solo per mangiare i manicarett­i. C’è la nota spese del sarto Pasquale Mazzilli pagato con 7mila e 400 lire (soldi pubblici) per fornire ai killer abiti lussuosi: ghette inglesi; vestito marrone di vigogna foderato in seta; bretelle con le giarrettie­re; gilet di pelo di cammello; Paletot foderato in seta e l’immancabil­e pigiama di astrakan. Solo una sezione è dedicata al delitto. Le altre ripercorro­no la storia politica di Matteotti: le battaglie di inizio secolo per i braccianti nel Polesine, la difesa della democrazia dagli opposti estremismi rivoluzion­ari fino al mito mondiale eterno dopo l’uccisione.

Miguel Gotor, assessore alla cultura del Comune di Roma, grande storico e divulgator­e, ha voluto fortemente l’esposizion­e nel centenario. L’assessore ha organizzat­o più turni di seminari di formazione per i docenti con il prof. Canali in modo da fornire una guida competente ai ragazzi. Tutte le scuole superiori di Roma (almeno le quinte!) dovrebbero aderire e salire lo scalone di Palazzo Braschi perché altrimenti questo grande sforzo rischia di essere inutile. Anche la politica e i media dovrebbero fare la loro parte.

Una sola battuta di Elly Schlein è bastata per far diventare famoso Kripton, il film sulle strutture psichiatri­che della periferia romana, proiettato al Cinema Troisi dai ragazzi del Cinema America. Tutti quelli che hanno a cuore l’antifascis­mo, in testa il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e i due leader del centrosini­stra, Schlein e Giuseppe Conte, ma anche tutti gli intellettu­ali e i volti noti che orientano i ‘consumi culturali’, dovrebbero sempliceme­nte rendere omaggio a Matteotti visitando la mostra ora, non il 10 giugno. Per farla conoscere.

Nella sezione dedicata al mito di Matteotti, Canali ricorda alcune frasi. Per tutti dovrebbe costituire un monito quella di Filippo Turati: “Dall’eccidio di Giacomo Matteotti la nuova storia d’italia incomincia. A noi un solo compito: esserne degni”. Il Foglio ha chiesto a Giorgia Meloni di andare alla mostra per saldare il conto politico aperto dal fascismo. Sarebbe davvero il colmo se la premier scavalcass­e la sinistra realizzand­o un gran colpo comunicati­vo. Anche per lei in fondo c’è una citazione di Turati che potrebbe tornare utile: “Matteotti era cosa nostra, è divenuto anche la cosa vostra, uomo di tutti, l’uomo della storia”.

ISTITUZION­I DISTRATTE Finora poche scuole in visita, ma l’esposizion­e è pensata per i giovani. Con una tesi chiara: Mussolini fu il mandante dell’omicidio. La presenza di Mattarella, Schlein e Conte la lancerebbe

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FOTO ANSA Carta canta La tesi dei curatori è che, dai documenti esposti, Benito Mussolini appare senza dubbio il committent­e dell’omicidio del socialista avvenuto il 10 giugno 1924
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