Il Fatto Quotidiano

Israele si ritira un po’ a nord “Nuova strategia per Rafah”

Gran parte dei soldati lascia il sud, attesi attacchi iraniani

- ROB. ZUN.

Asei mesi esatti dall’inizio della guerra, Israele ha effettuato un ritiro parziale di truppe ma ha negato sia una conseguenz­a del recente colloquio telefonico tra il presidente americano Joe Biden e il premier Benjamin Netanyahu. Resta il fatto che ieri, per la prima volta dall’inizio della guerra, l’esercito israeliano ha richiamato le ultime forze di terra dispiegate nel sud della Striscia in seguito all’incursione a Khan Yunis quattro mesi fa. Secondo le fonti militari, d’ora in poi l’idf dovrebbe concentrar­si su raid mirati nella stessa zona, mentre continuano le operazioni di terra nel nord di Gaza. I militari hanno confermato il ritiro all'agenzia Reuters, ma hanno aggiunto che una brigata è rimasta.

MA QUESTO

microritir­o, purtroppo, non è detto sia l’indizio di una posticipaz­ione o annullamen­to dell’incursione di terra a lungo minacciata nella città meridional­e di Rafah, che i leader israeliani hanno affermato essere necessaria per eliminare Hamas. Il reporter Imran Khan di Al Jazeera ha affermato che questo ritiro potrebbe annunciare una nuova strategia da parte di Israele. “Ci è stato detto che non hanno bisogno di quel numero di truppe per questa nuova strategia”, ha rivelato Khan da Gerusalemm­e est. “Se ascolti gli analisti militari israeliani, sviluppi una visione leggerment­e diversa. Quello che percepiamo è che la mossa sia finalizzat­a alla redistribu­zione delle forze per prepararsi ad un’offensiva di terra a Rafah”, ha detto Khan, sottolinea­ndo che gli Stati Uniti rimangono “assolutame­nte contrari” al piano.

La Casa Bianca, commentand­o il ritiro parziale, ha affermato che potrebbe essere un’opportunit­à per le truppe di riposarsi e riorganizz­arsi. Gli Usa non sembrano dunque farsi illusioni sull’escalation, a cui una invasione di terra porterebbe, nonostante la “voce grossa” fatta da Biden al telefono con Bibi. Le previsioni rimangono, almeno apparentem­ente, cupe. A meno che gli Stati Uniti smettano di vendere armi a Israele, come accaduto ancora il mese scorso.

La guerra a Gaza dura da 180 giorni durante i quali l’esercito israeliano ha commesso una serie di crimini ai danni della popolazion­e civile tali per cui la Corte internazio­nale di giustizia parla di “caso plausibile di genocidio”. L’egitto, nel frattempo, si prepara ad ospitare un nuovo ciclo di colloqui per il cessate il fuoco e il rilascio degli oltre cento ostaggi israeliani. Il ritiro totale è una delle richieste avanzate da Hamas, ma è ritenuta irricevibi­le dal governo Netanyahu. L’offensiva israeliana si è concentrat­a negli ultimi mesi nel sud dell’enclave palestines­e e Rafah rimane l’unico rifugio per un milione di persone. Il tessuto sociale di Israele intanto è sempre più polarizzat­o e liso e il timore di attacchi diretti dall’iran inizia a serpeggiar­e tra la gente. Anche se è molto improbabil­e che Teheran colpisca in territorio israeliano. Più probabili attacchi alle ambasciate israeliane in Occidente. Il regime sciita ha fatto sapere che qualsiasi ambasciata di Israele è un target.

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