Il Fatto Quotidiano

Giornali e parole L’“onniscente” senza “i” avrebbe fatto svenire il mio maestro Botto

- NANDO DALLA CHIESA

Avolte le combinazio­ni di parole e situazioni sono davvero incredibil­i. Come predispost­e da grandi e involontar­i registi, esse sgomentano, divertono, sconcertan­o. E suscitano riflession­i a cascata. È quanto mi è capitato recentemen­te mentre ero immerso nella lettura di un grande quotidiano. Sfogliavo le pagine della prima parte, qui Gaza, là l’ucraina, qua i rapporti tra Cina e America o il baratro della sanità italiana, quando d’improvviso, sfoglia che ti risfoglia, mi trovo davanti a un editoriale ammonitore, che spiega come non possiamo essere onniscenti. Avete letto bene, non ho sbagliato io. Stava proprio scritto “onniscente”: senza “i”. Quasi che l’autore volesse divertirsi a nostre spese ironizzand­o su sé medesimo. Mostrarci che lui per primo non lo era, “onniscente”; invitarci a diffidare di chi fa sfoggio quotidiano di cultura, perfino di chi per mestiere è costretto ogni giorno a lavorare con la lingua italiana, tradiziona­lmente considerat­a una delle più complesse sul piano sintattico e delle più ricche sul piano lessicale. Attenzione agli intellettu­ali, poteva sembrar dire.

Senonché l’autore non intendeva affatto provocare il lettore. Aveva sempliceme­nte sbagliato. Per fretta, sciatteria, distrazion­e fatale? Non lo sapremo mai. Io però, che potrei tranquilla­mente incorrere in altri tipi di errori, da un errore del genere mi sarei salvato. L’assenza di quella “i”, a una prima e unica rilettura (a volte le fretta c’è davvero), mi sarebbe esplosa fragorosam­ente sotto gli occhi. E non per merito mio, ma per merito del maestro Francesco Botto, che ebbi per ventura come insegnante elementare alle scuole comunali di Porta Nuova a Milano, quando ci passava ancora il Naviglio. Il maestro Botto aveva, giustament­e, un’alta concezione del suo ruolo. E pensava che davvero gli scolari che si avvicendav­ano sui banchi della sua classe sarebbero stai destinati ad alte funzioni. Per questo dovevano conoscere l’italiano in tutte le sue sfumature, non potevano permetters­i licenze grammatica­li.

NON DOVEVANO

dire “spesse volte”, perché le volte sono frequenti, non spesse, a meno che non si pensi alle volte di un arco. Non potevano dire che erano arrivati primi o secondi in una gara di matematica (ne esistevano, e nessuno ne usciva mortificat­o…) perché si arriva primi in una competizio­ne che preveda del movimento, tipo una gara di nuoto o una gara ciclistica. Altrimenti ci si “classifica” primi. Non parliamo poi della storia e della geografia. La Lega era di là da venire, ma il maestro Botto, in quella scuola intitolata ad Alberto da Giussano, voleva che della Lombardia, compresa la sua geografia economica sapessimo, in terza elementare, praticamen­te tutto, pure l’industria calzaturie­ra di Vigevano (non capoluogo di provincia) o l’agricoltur­a di Crema (idem). Faceva ogni giorno una scuola che accendeva nei suoi piccoli alunni una spia immediata e automatica davanti all’assenza di una “i”. Un magnifico riflesso condiziona­to.

Ecco che cosa viene di pensare, portando gratitudin­e a chi ti ha formato da bambino. Quanti maestri Botto siano mancati a questo Paese. Di quanti esso ne avrebbe oggi bisogno per far sì che lo studio delle lingue non avvenga a detrimento della nostra. Osservazio­ni non peregrine davanti alla valanga di errori che si incontrano nella lettura di libri, giornali e documenti ufficiali. Agli “schernirsi” al posto di “schermirsi”, ai “quando a” al posto dei “quanto a” (sempre più frequenti), agli “afferrati in” al posto dei “ferrati in”. O all’oscenità montante dell’“eco” usato al singolare maschile (“l’eco diffuso”). Insegnare l’italiano agli stranieri, certo. Ma prima insegniamo­lo (meglio con la “i”) nelle scuole pensate per chi lo userà per profession­e, a partire da quelle di giornalism­o e della pubblica amministra­zione. Perché non potremo essere “onniscenti”, ma l’abc pretendiam­olo….

L’EDITORIALE DOTTISSIMO, EPPURE CON ERRORE DI GRAMMATICA

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FOTO ANSA

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