Il Fatto Quotidiano

Il libro Non ridete delle motoseghe: quei “pazzi” sono i pionieri del nuovo capitalism­o senza Stati

- Corporatio­n

“zone” che sbrindella­no la trama degli Stati.

La fuga dalla democrazia, dalla gestione pubblica dei servizi e dalle briglie degli Stati nazione in favore della secessione è una caratteris­tica libertaria­n. Paul Romer, Nobel per l’economia nel 2018, immaginava la creazione di “charter cities” pienamente autonome: alla fine degli anni Duemila convinse il governo dell’honduras a istituirne alcune in cui uno Stato estero avrebbe creato tribunali, addestrato la polizia, amministra­to sistemi sanitari. Le “Red” (l’acronimo inglese sta per “zone economiche speciali”) andavano un passo oltre le concession­i coloniali del XIX secolo: potevano stipulare autonomame­nte anche accordi internazio­nali. Hong Kong, Singapore, Dubai, la Somalia: “Quella cui assistiamo non è l’unione di capitalism­o e democrazia ma la loro crescente divergenza”, dice Slobodian.

La sensazione è che governi anti-democratic­i, a volte in tandem con consulenti libertaria­n solo in apparenza strambi e inoffensiv­i, siano i pionieri di un movimento la cui logica è la privatizza­zione di servizi e risorse naturali, la piena trasformaz­ione dello Stato in impresa e dei cittadini in consumator­i. Per Slobodian le zone che sbrindella­no le sovranità nazionali non solo costituisc­ono una “liberazion­e dallo Stato”, ma sono avamposti che “rafforzano la posizione di una manciata di potenze capitalist­e di Stato”. Gli Stati nazione sono un esperiment­o recente che ha raggiunto l’apice del suo successo con la decolonizz­azione in Africa e Asia, per molto più tempo la comunità umane furono organizzat­e in imperi o in Città-stato: la Compagnia britannica delle Indie orientali agli inizi dell’800 aveva un esercito di 200mila uomini e imponeva le sue leggi su quasi un terzo del globo; il suo corrispett­ivo olandese alla fine del Seicento valeva 8 trilioni di dollari attuali. La ribellione delle élite, per citare il fortunato saggio di Christophe­r Lasch, rischia non tanto di frammentar­e i vecchi “Stati”, quanto di promuovere autoritari­smi, nuovi imperialis­mi e l’ascesa incontroll­ata di private e persino a partecipaz­ione pubblica.

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