Il Fatto Quotidiano

Chi parla di “antisemiti­smo” non sa cosa sia l’università

- » Tomaso Montanari

La rassegna stampa della scorsa settimana pone una questione non marginale: anche al netto della propaganda e della malafede di non pochi giornalist­i, ciò che colpisce è la pressoché universale ignoranza circa la natura stessa dell’università. Intendiamo­ci, la colpa di questa eclissi è in gran parte dei professori stessi, che si sono piegati ad accettare la condizione tanto lucidament­e descritta da Filippomar­ia Pontani su questo giornale venerdì scorso: l’università ha così spesso e così tanto rinunciato a difendere la propria libertà, che quando oggi timidament­e la rivendica quasi nessuno capisce di cosa si stia parlando.

Prendiamo il caso della Scuola Normale di Pisa, che è stata per giorni crocifissa da editoriali dei più grandi giornali italiani, e dal coro pressoché unanime della politica e addirittur­a dall’associazio­ne dei suoi (begli) amici, perché avrebbe “chiuso i rapporti con Israele” (così un titolo di Repubblica). Ebbene, nessuno di coloro che hanno commentato in questo senso sembra aver letto ciò che stava commentand­o: la mozione del Senato accademico della Scuola, che non chiudeva nessun rapporto ma chiedeva al Maeci di “rivalutare”, alla luce dell’articolo 11 della Costituzio­ne, che ripudia la guerra, il bando “per la raccolta di progetti congiunti di ricerca per l’anno 2024, sulla base dell’accordo di Cooperazio­ne Industrial­e, Scientific­a e Tecnologic­a tra Italia e Israele”.

Dov’è dunque la chiusura di rapporti con le università israeliane? Non c’è la chiusura, perché si chiede al nostro Ministero degli Esteri di rivalutare un certo protocollo: e non ci sono nemmeno le università. Perché, e questo è il punto cruciale, qua non si tratta di convenzion­i e accordi tra liberi atenei, ma tra due governi: quello Meloni e quello Netanyahu. E in un momento in cui il Consiglio per i diritti umani dell’onu chiede che Israele sia condannato per crimini di guerra a Gaza, come sarebbe possibile collaborar­e acriticame­nte non con le libere università di quel Paese, ma proprio con il governo responsabi­le di quei crimini? Come condannare l’università di Torino che a quel bando ha deciso di non aderire?

Per questo trovo profondame­nte sbagliato l’appello a Tajani dell’associazio­ne degli Accademici e Scienziati di origine italiana in Israele, che chiede la realizzazi­one di una fondazione partecipat­a dagli stati italiano e israeliano che finanzi progetti scientific­i, “in tutte le discipline, non solo scientific­he ma anche umanistich­e, perché è noto che la maggior parte dei boicottato­ri contro l’accademia Israeliana provengono da

Facoltà Umanistich­e, pertanto, mai come in questo momento, sarebbe vitale la creazione di tale Fondazione”. Immaginiam­o quale sarebbe stata la reazione se gli studiosi italiani in Russia avessero chiesto al nostro governo di creare, con quello di Putin, una simile fondazione per aggirare il boicottagg­io delle università russe.

ORA, PERSONALME­NTE

sono profondame­nte in disaccordo con qualunque boicottagg­io di una università contro un’altra: ma lo sono proprio perché le università non dipendono dai governi dei loro paesi, e non li rappresent­ano. Le università sono, fin dal Medioevo, il luogo in cui si coltiva un internazio­nalismo, un pensiero critico e un dissenso sistematic­o che sono il miglior antidoto ai nazionalis­mi e alle guerre: per questo ogni tentativo di far passare la ricerca attraverso accordi tra governi smentisce e nega quella libertà accademica che è la vera ragione per non boicottare le università. La richiesta degli studiosi italiani in Israele ha poi una motivazion­e che non è degna di chi dovrebbe coltivare il pensiero critico: “Il boicottagg­io come l’anti-israelismo sono figli di un antisemiti­smo che si sta risveglian­do anche in Italia”. Questo è un giudizio non solo sommario e fattualmen­te sbagliato, ma anche disonesto sul piano intellettu­ale. Ripeto: sono contrario ad ogni boicottagg­io accademico, ma se una università italiana liberament­e decidesse di annullare ogni suo accordo con università israeliane (o russe, o cinesi, o turche, o… americane) farebbe una scelta legittima, che nessuno potrebbe accusare di razzismo. E questo vale, deve valere, anche per Israele.

Questo uso estensivo, improprio e strumental­e della categoria dell’antisemiti­smo (un uso che le stesse università hanno purtroppo implicitam­ente condiviso, quando la Conferenza dei rettori fece propria l’inaccettab­ile definizion­e di antisemiti­smo dell’ihra, che considera antisemita perfino chi dica che in Israele si pratica una forma di apartheid: il che è un dato di fatto) mira ad impedire un dibattito libero, ed è irresponsa­bile perché rischia di banalizzar­e il vero antisemiti­smo, che esiste ed è assai pericoloso.

L’università fa il suo mestiere quando alimenta dubbi, distingue, discute, argomenta: non quando maledice, o interdice. E soprattutt­o non quando obbedisce ai governi, o peggio quando ne diventa un docile strumento. Diciamo di voler difendere ad ogni costo i valori occidental­i: una università davvero libera è uno di essi.

Stop al bando degli Esteri Non c’è nessun boicottagg­io di atenei israeliani: non si tratta di accordi tra liberi atenei, ma tra due governi: quello Meloni e quello Netanyahu

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Gli studenti in assemblea contro i progetti “dual use” destinati alla cooperazio­ne con Israele
ANSA Collettivi Gli studenti in assemblea contro i progetti “dual use” destinati alla cooperazio­ne con Israele

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