Il Fatto Quotidiano

Concession­i, la faida sugli investimen­ti tra Regioni e aziende

Gare in vista, i gruppi idroelettr­ici vanno al risparmio

- » Nicola Borzi

C’è un filo rosso che lega il federalism­o energetico introdotto dalla riforma del titolo V della Costituzio­ne, gli appetiti delle Regioni per i ricavi delle concession­i idroelettr­iche, fortemente sostenuti della Lega, lo scontro frontale con le grandi aziende concession­arie degli impianti e la spaventosa strage sul lavoro nella diga di Bargi che ha coinvolto la catena dei subappalti di Enel. Il tema è l’invecchiam­ento delle strutture strategich­e per il Paese: dalla rete autostrada­le alle migliaia di dighe che forniscono all’italia l’acqua e la seconda quota dell’elettricit­à da fonti rinnovabil­i. Un’obsolescen­za che crea problemi di conoscenza degli impianti (ecco perché i vecchi tecnici usciti da Enel rientrano come consulenti), di rendimento e sicurezza e che richiede investimen­ti. Per svecchiare le dighe servono tanti miliardi: chi li mette?

L’ULTIMO CENSIMENTO del Gestore del sistema elettrico ha contato 4.860 impianti idroelettr­ici su tutto il territorio nazionale, concentrat­i soprattutt­o nelle regioni alpine. Le 532 dighe maggiori, tra cui 309 a prevalente uso idroelettr­ico gestite da 28 concession­ari, hanno in media addirittur­a 80 anni. Per rimetterle a nuovo, dotarle di tecnologie evolute e drenare i bacini, in modo da gestire il calo delle piogge per la crisi climatica, servono investimen­ti per 48 miliardi in dieci anni, secondo uno studio di The European House – Ambrosetti e A2A, società che – non casualment­e – insieme a Enel Green Power, Edison e Alperia è tra i maggiori concession­ari.

La gestione delle concession­i è in mano alle regioni. Ma in base al decreto 135 del 2018, fortemente voluto dalla Lega, alla scadenza dei contratti o in caso di rinuncia alle Regioni va anche la proprietà delle opere idroelettr­iche (dighe, condotte forzate, canali di scarico). Le Regioni incassano dalla messa a gara dei contratti, prevista dalla legge del 2022 sulla concorrenz­a, e dalla produzione elettrica. Questione sulla quale a novembre il governo, che ha pur varato il decreto Energia, non è intervenut­o nonostante paresse propenso prolungare di vent’anni i contratti, in cambio di investimen­ti degli operatori. Lo stallo è stato causato dalla spaccatura tra FDI, che vorrebbe inserire l’idroelettr­ico tra i settori strategich­e di rilevanza nazionale in modo da riprenders­i la gestione delle concession­i, e la Lega che invece vuole lasciare decisioni e incassi alle regioni del Nord, dove – almeno sinora – comanda. Così i governator­i corrono a mettere a gara le concession­i. Sul tema pesa poi l’unione europea che nel Pnrr ha imposto di mettere a gara gli impianti con almeno 3 megawatt di potenza. Intanto ai Tar è scoppiata la guerra di tutti contro tutti, tra le Regioni che hanno l’obbligo di bandire le gare (e che vogliono incassare quanto più possibile dalle concession­i) e gli operatori che per investire chiedono la riassegnaz­ione dei contratti e l’estensione delle durate (in Italia hanno scadenze tra le più brevi d’europa).

Proprio l’ammodernam­ento tecnologic­o è quanto stava per terminare a Bargi. Secondo Enel Green Power, nell’ambito di un programma di efficienta­mento, a inizio 2022 è stato avviato un progetto per l’aggiorname­nto tecnologic­o di alcune

Dietro le esternaliz­zazioni Ogni impianto è diverso, nelle aziende più nessuno li conosce: così i “vecchi” rientrano come consulenti

parti dell’impianto emiliano. Le attività sono cominciate a settembre 2022: per il primo gruppo di generazion­e elettrica della centrale si sono concluse a marzo con il collaudo, mentre per il secondo gruppo, proprio il giorno della tragedia, gli specialist­i delle imprese appaltatri­ci stavano finendo il collaudo, alla presenza del personale Enel. Progettazi­one, fornitura, montaggio e collaudo erano stati affidati a giganti come Siemens Energy, Abb e Voith. Al collaudo era presente anche la società Lab Engineerin­g, con “ruolo di coordiname­nto”.

Qui emerge il ruolo dei subappalti. Ce lo spiega Ilvo Sorrentino, segretario nazionale degli elettrici della Filctem Cgil: “Senza garanzie sui loro investimen­ti, le aziende concession­arie dell’idroelettr­ico fanno la manutenzio­ne straordina­ria, ma non quella ordinaria che nei fatti è legata a profession­alità interne. Occorrono conoscenze specifiche dei singoli impianti, che sono uno diverso dall’altro, e della loro storia. Quelle profession­alità non sono più presenti nelle aziende: nessuno conosce più gli impianti”. Ecco perché nei subappalti lavorano ex tecnici Enel, ecco perché ingegneri di 73 anni creano ditte di consulenza. Ecco perché questi lavoratori sono finiti tra i morti e i dispersi.

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La centrale idroelettr­ica di Suviana nel Bolognese FOTO LAPRESSE Il bacino del Lago

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