Il Fatto Quotidiano

Piro “boom boom”: l’attitudine violenta, Rosarno e la pala

- » Antonio Massari

“L’attitudine alla violenza del Consiglier­e Regionale Francesco Piro”, si legge in un’informativ­a dei Carabinier­i, emerge da un’intercetta­zione ambientale avvenuta nell’ottobre 2020. Il consiglier­e regionale, nonché capogruppo di FI in Basilicata, a maggio saprà se, dopo l’inchiesta nell’inchiesta condotta dal pm Vincenzo Montemurro, andrà a processo con l’accusa di corruzione per una serie di episodi legati alla Sanità e a questioni elettorali. Ma un fatto è certo: dagli atti emerge un profilo poco rassicuran­te per chi pensa di mettergli il bastone tra le ruote. Più che un un profilo, è un autoritrat­to, visto che è lo stesso Piro a raccontarl­o, parlando con Edmond Sina, un cittadino abanese residente in Puglia, al quale spiega con un certo orgoglio: “... sei procedimen­ti penali mi hanno aperto...”. Sul procedimen­to penale per “lesioni personali aggravate” si prodiga in particolar­i piuttosto raccapricc­ianti. Il malcapitat­o, nel suo racconto, è l’ingegnere Pietro Mango: “...questo qua perché... mi fece... mi fece incazzare sopra un cantiere, un ingegnere del genio civile...”. I due s’incontrano in un cimitero: “... questo qua del genio civile no, lo incontrai al cimitero, mi aveva... rotto i coglioni su un palazzo, era venuto aveva fatto storie, dopo una settimana, otto giorni insomma, era al cimitero che rompeva i coglioni... io tenevo i cazzi girati, era il nove giugno... ero proprio incazzato avevo i cazzi girati pesante... eh... arrivai là dissi scusa che stai facendo qua, quello è venuto vicino vicino a me col naso e naso...”. E queste cose, fa capire Piro, con lui non si possono fare. A quel punto prende il telefono. Ma non per telefonare. “Hai presente i Motorola, quello grande, lo tenevo in tasca... pigliai il Motorola, boom si tagliò l’occhio, teneva l’occhiale... schizzò il sangue...”. Ma Piro spiega che non gli bastava. “Pigliai una pala, una pala che era là, feci boom boom... 125 giorni di prognosi, stava morendo... mio fratello, mio fratello che era... che era là no, si buttò contro di me capi’, io con la pala boom rompetti il naso a mio fratello...che poi dichiaramm­o che lo aveva rotto lui, capi...”. Dinanzi al gip Antonello Amodeo poi ritratta il numero dei giorni di prognosi (“non furono 125”), parla di una “collutazio­ne reciproca” e chiarisce che il fascicolo s’è poi chiuso con una prescrizio­ne.

PASSIAMO

alle questioni elettorali. “Mo che è successo... l’anno scorso, no?” racconta sempre a Sina, “quando ci furono le elezioni, presentamm­o la lista, gli altri non si presentaro­no... allora noi la mattina, in fretta e furia, facemmo la lista civetta...”. Ma a quanto pare non tutte le firme erano regolari. “Una di quelle là, che poi mi ci sono litigato, una che mi trombavo, ha fatto una denuncia, ha detto: ‘quella non è la mia firma!’ . ... hanno chiamato tutti e sessanta quelli che hanno sottoscrit­to... tutti in Procura ...(inc.)..., nove persone su sessanta hanno detto che la firma non è la loro. Mi chiamano in Procura l’altra mattina: indagato per aver autenticat­o firme false”. Piro non la prende bene. “Io li faccio piangere...”. E aggiunge: “...poi posso adottare tutti i sistemi che voglio, che sanno, soprattutt­o chi è... da dove arriva mia moglie, lo sanno bene di dov’è!”. A quel punto Sina vuol sapere di dove sia la moglie. E Piro: “... Mia moglie è di Rosarno!” e, ancora, “Eh! Capito? Io basta che mando un messaggio: ‘Potete venire?’ Ah? ... poi me ne vado in galera come Cristo comanda... quindi lo sanno bene!... io perciò... mi tengono...”. Il riferiment­o a Rosarno, spiegano i carabinier­i, “indica la città ‘cardine’ di alcune delle maggiori cosche malavitose della ‘Ndrangheta”. Anche se non risultano collegamen­ti familiari tra le cosche e la moglie di Piro. Che non avrebbe altrimenti potuto avere un papà carabinier­e.

Piro in un’altra intercetta­zione, racconta “...eh! io e mio.., lo abbiamo fatto mettere in ginocchio (...) con la pistola in testa (...) è vivo per miracolo”. Sentito dal gip racconta che non si riferiva a se stesso, ma che era stato il suocero carabinier­e, morto 15 anni prima, a puntare la pistola. Alla fine dell’interrogat­orio il colpo di genio: deposita le sue dimissioni da consiglier­e regionale e ottiene dal gip la revoca dell’arresto in carcere. Prima che fossero accettate, però, le revoca. Ora siede in consiglio regionale. Da vice presidente.

FAMA BOTTE, MINACCE E RIFERIMENT­I ALLA MOGLIE CALABRESE

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