Senza i jet alleati e diviso: Israele ora teme Teheran
Mentre il mondo attende di capire quale forma prenderà l’annunciata risposta israeliana all’attacco iraniano di sabato sera, i due Paesi si scambiano minacce sempre più pesanti e il portavoce della Commissione per la sicurezza nazionale del Parlamento iraniano, Abolfazl Amouei, avverte che Teheran è “pronto a usare un’arma che non abbiamo mai usato prima”, ha rincarato.
Il premier Benjamin Netanyahu, riunito con i generali del complesso della Difesa di Kirya a Tel Aviv, cerca di elaborare una risposta militare che sia “accettabile” soprattutto per gli Usa, e via secondaria per l’unione europea. Netanyahu mostra solo ingratitudine nei confronti del presidente Usa, Joe Biden, perché l’attacco iraniano ha prodotto invece la più significativa dimostrazione di sostegno nella storia delle relazioni israelo-americane. Ciò dimostra anche l’importanza di un’alleanza regionale di moderati – vedi la Giordania che pur avendo un’opposizione filo-hamas non ha esitato ad abbattere i missili iraniani diretti in Israele – che comprenda anche i palestinesi. Netanyahu finge di ignorare tutto questo e pretende di dettare agli Usa, e al mondo, i termini per affrontare la minaccia iraniana.
IL “SUCCESSO MILITARE”
di sabato notte è dovuto alla combinazione del sofisticato sistema di difesa aerea israeliano e dell’assistenza fondamentale fornita dagli Stati Uniti e da altri partner occidentali e arabi. Gli aerei da guerra americani, britannici e giordani hanno svolto un ruolo importante nell’abbattimento dei droni. La maggior parte degli Uav e dei missili iraniani sono stati distrutti prima ancora di raggiungere lo spazio aereo israeliano. Se Israele e i suoi alleati possano replicare quella prestazione militare nelle condizioni
LA REPLICA GLI AYATOLLAH: “PRONTA ARMA MAI USATA PRIMA”
di una guerra totale – l’attacco iraniano era stato largamente anticipato – è una questione aperta, così come lo è la capacità di Israele di difendersi senza aiuto esterno. Questa è una considerazione chiave mentre Israele e gli Usa valutano le risposte a quella che è una nuova realtà strategica, creata dal primo attacco militare diretto dell’iran sul territorio israeliano dalla rivoluzione islamica del 1979. Il gabinetto di guerra israeliano riunito ancora ieri per esaminare le opzioni, è fortemente lacerato. Rancori e discussioni a lungo latenti su come combattere Hamas hanno inasprito le relazioni tra i decision maker in tempo di guerra: il premier Netanyahu, il ministro della Difesa Yoav Gallant e l’ex capo dell’idf, Benny Gantz. I tre non solo si detestano, ma erano già in disaccordo sulle
decisioni più importanti da prendere: come lanciare una spinta militare decisiva, liberare gli ostaggi e governare la Striscia del dopoguerra. Ora devono prendere una delle più difficili decisioni che il Paese abbia mai dovuto affrontare. La loro lotta per il potere potrebbe influenzare la possibilità che il conflitto di Gaza si trasformi in una più ampia lotta regionale con l’iran, che trasformerà l’ordine geopolitico del Medio Oriente e modellerà le relazioni di Israele con gli Usa per decenni. “La mancanza di fiducia tra queste tre persone è così evidente e significativa”, concorda Giora Eiland, ex generale israeliano e consigliere per la sicurezza. Contrattaccare duramente sul suolo iraniano potrebbe provocare ritorsioni più devastanti. Non rispondere, o farlo debolmente, può erodere la deterrenza, rendendo Israele più vulnerabile.