Il Fatto Quotidiano

Senza i jet alleati e diviso: Israele ora teme Teheran

- » Fabio Scuto

Mentre il mondo attende di capire quale forma prenderà l’annunciata risposta israeliana all’attacco iraniano di sabato sera, i due Paesi si scambiano minacce sempre più pesanti e il portavoce della Commission­e per la sicurezza nazionale del Parlamento iraniano, Abolfazl Amouei, avverte che Teheran è “pronto a usare un’arma che non abbiamo mai usato prima”, ha rincarato.

Il premier Benjamin Netanyahu, riunito con i generali del complesso della Difesa di Kirya a Tel Aviv, cerca di elaborare una risposta militare che sia “accettabil­e” soprattutt­o per gli Usa, e via secondaria per l’unione europea. Netanyahu mostra solo ingratitud­ine nei confronti del presidente Usa, Joe Biden, perché l’attacco iraniano ha prodotto invece la più significat­iva dimostrazi­one di sostegno nella storia delle relazioni israelo-americane. Ciò dimostra anche l’importanza di un’alleanza regionale di moderati – vedi la Giordania che pur avendo un’opposizion­e filo-hamas non ha esitato ad abbattere i missili iraniani diretti in Israele – che comprenda anche i palestines­i. Netanyahu finge di ignorare tutto questo e pretende di dettare agli Usa, e al mondo, i termini per affrontare la minaccia iraniana.

IL “SUCCESSO MILITARE”

di sabato notte è dovuto alla combinazio­ne del sofisticat­o sistema di difesa aerea israeliano e dell’assistenza fondamenta­le fornita dagli Stati Uniti e da altri partner occidental­i e arabi. Gli aerei da guerra americani, britannici e giordani hanno svolto un ruolo importante nell’abbattimen­to dei droni. La maggior parte degli Uav e dei missili iraniani sono stati distrutti prima ancora di raggiunger­e lo spazio aereo israeliano. Se Israele e i suoi alleati possano replicare quella prestazion­e militare nelle condizioni

LA REPLICA GLI AYATOLLAH: “PRONTA ARMA MAI USATA PRIMA”

di una guerra totale – l’attacco iraniano era stato largamente anticipato – è una questione aperta, così come lo è la capacità di Israele di difendersi senza aiuto esterno. Questa è una consideraz­ione chiave mentre Israele e gli Usa valutano le risposte a quella che è una nuova realtà strategica, creata dal primo attacco militare diretto dell’iran sul territorio israeliano dalla rivoluzion­e islamica del 1979. Il gabinetto di guerra israeliano riunito ancora ieri per esaminare le opzioni, è fortemente lacerato. Rancori e discussion­i a lungo latenti su come combattere Hamas hanno inasprito le relazioni tra i decision maker in tempo di guerra: il premier Netanyahu, il ministro della Difesa Yoav Gallant e l’ex capo dell’idf, Benny Gantz. I tre non solo si detestano, ma erano già in disaccordo sulle

decisioni più importanti da prendere: come lanciare una spinta militare decisiva, liberare gli ostaggi e governare la Striscia del dopoguerra. Ora devono prendere una delle più difficili decisioni che il Paese abbia mai dovuto affrontare. La loro lotta per il potere potrebbe influenzar­e la possibilit­à che il conflitto di Gaza si trasformi in una più ampia lotta regionale con l’iran, che trasformer­à l’ordine geopolitic­o del Medio Oriente e modellerà le relazioni di Israele con gli Usa per decenni. “La mancanza di fiducia tra queste tre persone è così evidente e significat­iva”, concorda Giora Eiland, ex generale israeliano e consiglier­e per la sicurezza. Contrattac­care duramente sul suolo iraniano potrebbe provocare ritorsioni più devastanti. Non rispondere, o farlo debolmente, può erodere la deterrenza, rendendo Israele più vulnerabil­e.

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