Biennale d’arte: “Non apriremo il padiglione fino a tregua a Gaza”
Il padiglione di cui tutti parlano, alla Biennale di Venezia 2024 non ci sarà: Israele non apre. Nessun boicottaggio: alla base c’è la scelta dell’artista espositrice, Ruth Patir. “Apriremo la mostra quando sarà raggiunto un cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi” recita il cartello affisso sulle vetrate del padiglione da cui si poteva scorgere l’esposizione “Motherland”, già allestita. Ancora lunedì, su Haaretz, la curatrice Mira Lapidot assicurava che il padiglione avrebbe aperto e che le richieste di boicottaggio non avrebbero avuto la meglio. “Lo detesto, ma credo sia importante” ha spiegato Ruth Patir
al New York Times. Patir conta di aprire prima del 24 novembre, data di chiusura della Biennale. Una decisione personale, nessun riferimento alle pressioni internazionali e alle 24 mila firme raccolte dal gruppo “Art Not Genocide Alliance”, che chiedeva l’esclusione di Israele dalla manifestazione. “L’arte ha bisogno di un cuore aperto, cosa che in questo momento non esiste, quindi meglio restare chiusi – hanno scritto le curatrici –. Come esseri umani, donne e cittadini, non possiamo essere qui quando nulla cambia riguardo gli ostaggi. Il padiglione aprirà quando verrà raggiunto un accordo sugli ostaggi e un cessate il fuoco, e speriamo che ciò avvenga durante i sette mesi della Biennale”. Il governo israeliano non sarebbe stato informato.
Una decisione simile fu presa da artisti e curatori russi nel 2022, quando il loro rifiuto di esporre portò al ritiro del Cremlino: ma in questo caso l’iniziativa è decisamente più antigovernativa che nel precedente russo. E se allora la Biennale si schierò contro qualsiasi rappresentanza del governo russo (quali sono, loro malgrado, anche i padiglioni nazionali), stavolta la partecipazione di Israele era stata sostenuta. Biennale non commenta la chiusura del padiglione – appresa ieri mattina, di fronte al cartello esposto –, in attesa della conferenza stampa che si terrà oggi”.