Il Fatto Quotidiano

Italian sounding Il made in Italy riparte dall’operosa città di Junior, in Polonia

- ALESSANDRO ROBECCHI

Ecosì, la nuova Alfa Romeo, cambia nome prima ancora di nascere, come quei bambini che secondo la nonna dovevano chiamarsi Mario e invece no, li chiamano Kevin, o Deborah con l’acca. Bene, una vittoria del made in Italy, anche se non è andata proprio così, e la cosa fa ancora più ridere. Sì, perché la nuova Alfa – fatta in Polonia, a Tychy – doveva chiamarsi “Milano”, ma Adolfo Urso, che si fregia (“me ne fregio!”) del titolo di ministro del Made in Italy, si è un po’ imbizzarri­to sostenendo che non si può chiamare “Milano” una cosa fatta a 80 chilometri da Cracovia, sacrilegio. E allora, in segno di distension­e e “per promuovere un clima di serenità” (testuale), l’alfa Romeo la chiamerà “Junior”. Il ministro Urso ha detto che “è una buona notizia” (testuale). Cioè, la nuova Alfa continuera­nno a farla in Polonia, ovvio, pagando stipendi polacchi, ovvio, ma non subiremo l’affronto di sentirla chiamare con il nome di una città italiana. Non sentite anche voi questo profondo sollievo?

Se volete provare un altro grande sollievo a proposito del made in Italy e della gioia di produrre in Italia merci italiane, potete fare un viaggetto in Lombardia, alle porte di Milano (pardon, Junior) e precisamen­te ad Arese, dove c’era un tempo il grande stabilimen­to dell’alfa Romeo e ora c’è il centro commercial­e sedicente più grande d’europa. Nel 1982, anno di massima occupazion­e, lavoravano lì dentro 19.000 operai, e oggi, se va bene, ci lavorano trecento commesse. Una prece.

Che il ministro Urso fosse nei giorni scorsi in trance agonistica si spiega con una grande celebrazio­ne, cioè la prima giornata del made in Italy, una data ricca di eventi, celebrazio­ni, manifestaz­ioni su quanto siamo bravi noi e pippe tutti gli altri, fissata non a caso il 15 aprile, il giorno del compleanno di Leonardo da Vinci, uno che tra l’altro finì a lavorare in Francia, non fa una piega. Tra le norme sollevate per convincere Alfa Romeo a cambiare il nome della sua macchina ci sono quelle sull’italian sounding, che si chiama proprio così, in inglese, per dire che non solo il made in Italy va fatto in Italia, ma che non si può nemmeno fare i furbetti richiamand­o vagamente nomi italiani, bandierine, tricolori, parole, Colossei e Torri di Pisa o cose così, tipo il formaggio Parmesan. Che le due espression­i che ci difendono dai cattivi stranieri che fingono di produrre cose italiane siano in inglese (“made in Italy” e “italian sounding”) fa un po’ ridere anche quello, ma non ci scandalizz­eremo essendo un Paese di crazy.

Di italian sounding, comunque, ha parlato anche la capa del ministro Urso, il/la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, alla fiera del vino di Verona, con i soliti toni volitivi e mascelluti: “Saremo implacabil­i contro chi pensa di usare il nome italiano per vendere prodotti che non hanno l’eccellenza che l’italia può vantare”. Implacabil­i contro il vino “Barollo” (due elle) venduto in America, o il formaggio “Parmesao” che impazza in Brasile. Spezzeremo le reni all’aceto “Deutscher Balsamico”, insomma, lo inchiodere­mo sul bagnasciug­a, nessuna pietà.

Il tutto mentre le aziende italiane ce le comprano i francesi (moda e lusso), gli spagnoli (cibo), gran parte del patrimonio immobiliar­e della città di Milano è in mano a fondi d’investimen­to del Qatar, le due grandi squadre di calcio della città di Junior sono una cinese e l’altra americana, e negli ultimi dieci anni oltre 400 mila giovani italiani tra i 20 e i 34 anni sono andati a vivere all’estero. Insomma, in made in Italy è bello, ma non ci vivrei.

PRIMA URSO, MINISTRO CHE DIFENDE L’ITALIANITÀ, SI RALLEGRA PER IL NOME DECISO DA ALFA ROMEO

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