Anche non fare figli è una libera scelta: la politica lo accetti
Ci sono due notizie, uscite sui giornali nel corso della stessa giornata, che affiancate generano una profonda dissonanza. Una è l’indagine realizzata dall’istituto Toniolo su 7 mila donne tra i 18 e i 34 anni senza figli: il 21 per cento delle interrogate dice chiaramente di non volerli, mentre il 29 per cento afferma di essere “debolmente interessata” alla maternità. In sostanza il 50 per cento di queste giovani e giovanissime potrebbe verosimilmente scegliere di non essere madre. Ma l’elemento fondamentale è il modo con cui questa scelta viene comunicata: per la prima volta nella storia un’alta percentuale di donne che non desidera riprodursi si sente in diritto di rivendicare questa volontà.
Per secoli, fino agli ultimi decenni, una donna che non procreava era considerata una mezza donna, un’incompiuta, un essere che non è riuscito a tener fede al proprio compito; di conseguenza ciascun essere femminile privo di prole si è trovato costretto a schermarsi dietro molteplici giustificazioni, che andavano dall’infertilità all’impossibilità pratica, per evitare d’incorrere nell’annunciata condanna sociale. Intendiamoci, nella società contemporanea di problemi concreti che una donna deve affrontare se vuole mettere al mondo un figlio mantenendosi e magari continuando a lavorare ce ne sono moltissimi, e su quelli è indispensabile lavorare; ma gli ostacoli esterni non sono l’unica ragione. Oggi una donna ha diritto a scegliersi il verbo servile: non c’è più solo il non “potere” avere figli, c’è anche il non “volere” avere figli. Lo spiega bene il demografo Alessandro Rosina: “I giovani non sentono la procreazione come un imperativo biologico e sociale, vogliono pensare al proprio destino liberamente, se il progetto di un figlio si integra con le proprie scelte di vita, se non ostacola i progetti, allora scelgono la maternità e la paternità. Altrimenti no grazie, senza rimpianti”. Così quella che per l’uomo era già una delle possibilità nel novero, diventa finalmente un’opzione possibile anche per la donna. Effetto collaterale di quel percorso secolare per cui, integrando la cultura nel progetto della natura, abbiamo trasformato la femmina in donna. “Avere figli è una scelta libera, non è cercando di convincere chi non li vuole che cambieranno le cose, ma sostenendo chi invece vuole diventare genitore”, aggiunge Rosina.
E qui, come un cazzotto in un occhio, ci s’imbatte nella seconda notizia del giorno sullo stesso tema: con un emendamento al decreto Pnrr, sul quale ha messo la fiducia, a prima firma del deputato di FDI Lorenzo Malagola, il governo dispone affinché i consultori possano “avvalersi anche del coinvolgimento di soggetti del Terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità”. Tradotto: consente l’intervento di associazioni anti-abortiste e movimenti pro-vita nei luoghi in cui le donne si recano per interrompere le gravidanze non desiderate, presumibilmente con l’obiettivo di farle desistere dal loro intento.
Come se volesse rispondere alle parole di Rosina, il governo agisce immantinente in direzione ostinata e contraria a quanto suggeritogli dal demografo: tenta di utilizzare un meccanismo di persuasione coatta affinché le donne non si montino la testa nella convinzione di essere effettivamente libere di esercitare un loro diritto. Come se il sistema per scongiurare la denatalità potesse essere quello di costringere subdolamente chi figli non ne vuole a metterli al mondo lo stesso. Se non si parte dalla presa d’atto dell’evidenza, ovvero che l’umanità sta subendo una profonda mutazione antropologica e comincia a vedere la scelta riproduttiva come una possibilità e non più come un dovere a prescindere, e non si comincia a lavorare per facilitare la vita a chi vuole cogliere quella possibilità invece di fissarsi con coloro che hanno il diritto (finalmente ripulito dall’onta) di non coglierla, invertire la rotta, come ama dire la politica, è solo un goffo miraggio.
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