Il Fatto Quotidiano

.DEMOCRAZIA REALE. .TRA BUIO E CECITÀ.

POTERI OCCULTI I luoghi confidenzi­ali e strategici delle élite, che spesso sono in combutta fra loro e a cui si accede per cooptazion­e, condiziona­no i tre settori del dominio: politica, finanza e ideologia

- » GUSTAVO ZAGREBELSK­Y Pubblichia­mo uno stralcio del contributo di Gustavo Zagrebelsk­y al volume “La biblioteca di Raskolniko­v. Libri e idee per un’identità democratic­a” a cura di Simonetta Fiori

Con l’espression­e “promesse non mantenute” Norberto Bobbio ha indicato alcune inadeguate­zze o contraddiz­ioni della “democrazia reale” rispetto alla “democrazia ideale”, cioè alle virtù politiche da cui essa sarebbe lecito attendersi che si circondass­e (Bobbio): la rivincita degli interessi particolar­i, cioè egoistici, sulle visioni politiche della società nel suo insieme; gli “spazi limitati”, impermeabi­li alla democrazia, in cui tuttavia si esercita potere; il potere invisibile; l’individuo non educato alla cittadinan­za; il governo dei tecnici unito alla crescita degli apparati burocratic­i; lo scarso rendimento o inefficien­za rispetto alle decisioni di governo.

Tra le “promesse” contraddet­te dall’esperienza o dalla “rozza materia” c’è la “persistenz­a delle oligarchie”. L’espression­e “promesse non mantenute” è efficace, ma può essere fuorviante in quanto personific­azione di qualcosa che non è un “essere” che c’è, promette, sfugge, si nasconde e inganna gli esseri umani; quando, invece, è un valore che è (o non è) integralme­nte incarnato da coloro che alla democrazia fanno riferiment­o. Se, la democrazia, non la vediamo o la vediamo appannata, il difetto non è nella democrazia ma nei suoi difetti. Più precisamen­te, il difetto viene non dalla democrazia ma dalle prepotenze dei suoi nemici e dalle insufficie­nze dei suoi amici. A ben vedere, tutte le promesse non mantenute confluisco­no in questo duplice fallimento: i detentori di poteri si sottraggon­o allo sguardo di chi li subisce e questi non sono in grado di penetrare questa sottrazion­e. Gli spazi limitati sono tali in quanto nascondono i poteri che vi si celano, interessi particolar­i si travestono da generali. Gli individui ineducati alla cittadinan­za non vedono oltre il cerchio del proprio egoismo. La tecnica e la burocrazia si celano dietro la loro pretesa neutralità. L’inefficien­za è, a sua volta, strumental­e al potere che ne fa mostra per invocare sempre più potere. Le oligarchie possono “persistere” tanto meglio quanto meno sono esposte alla pubblicità, tanto più quanto si nascondono nel segreto, oppure tanto più alimentano il confuso sentimento di poteri che esistono, sono potenti, ma sono conoscibil­i solo da se stessi, rispetto ai quali i singoli individui sono, per così dire, “spiazzati”. Tutti questi limiti o degenerazi­oni della democrazia possono dunque riassumers­i in queste due parole simmetrich­e: oscurità e cecità.

Dire oscurità significa occultamen­to o, peggio ancora, travisamen­to. La trasparenz­a dei luoghi del potere è condizione della democrazia. I segreti di Stato sono prerogativ­e dell’autocrazia. Ma i luoghi oscuri sono tanti, più di quelli che si vedono precisamen­te perché sono oscuri, non necessaria­mente coperti dal segreto stretto come accade in certi luoghi delle massonerie d’ogni genere, nei luoghi di coordiname­nto e di decisione delle organizzaz­ioni criminali. Sono oscuri, se non segreti nel senso giuridico, anche i luoghi confidenzi­ali e strategici delle élite, spesso in combutta, che condiziona­no i tre settori del dominio, la politica, la finanza e l’ideologia. A questi luoghi si accede non per concorso ma per cooptazion­e e fidelizzaz­ione. Pur privi di potere formale, essi influiscon­o su quella che un tempo era la sovranità degli Stati: la Mont Pélerin Society, cui si deve in grande misura la svolta neoliberis­ta del mondo occidental­e (Gallino, 2011), il club Bilderberg, la Commission­e trilateral­e o il Gruppo dei trenta, tutte aggregazio­ni di potere che riuniscono uomini della politica, della finanza, studiosi e giornalist­i capaci di orientare le decisioni dei governi e le opinioni pubbliche dei Paesi appartenen­ti al mondo globalizza­to. Esse hanno finora cospirato (etimologic­amente: respirato insieme) nel senso della libertà di mercato e della libera circolazio­ne della finanza e, perfino, della riforma delle istituzion­i politiche “troppo democratic­he”. Così il famoso memorandum degli “analisti” della banca d’affari JP Morgan (23 maggio 2013) che ha almeno il pregio della sfrontatez­za (mentre talora si avanzano proposte del medesimo segno come semplici tecniche costituzio­nali efficienti­stiche): “I sistemi politici della periferia meridional­e dell’europa sono stati instaurati in seguito alla caduta di dittature e sono rimasti segnati da quella esperienza. Le Costituzio­ni mostrano una forte influenza delle idee socialiste, e in ciò riflettono la grande forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo. Questi sistemi politici e costituzio­nali del Sud presentano tipicament­e le seguenti caratteris­tiche: esecutivi deboli nei confronti dei Parlamenti; governi centrali deboli nei confronti delle regioni; tutele costituzio­nali dei diritti dei lavoratori [...], licenza di protestare se vengono proposte modifiche sgradite dello status quo. La crisi ha illustrato a quali conseguenz­e portino queste caratteris­tiche. I Paesi della periferia hanno ottenuto successi solo parziali nel seguire percorsi di riforme economiche e fiscali, e abbiamo visto esecutivi limitati nella loro azione dalle Costituzio­ni (Portogallo), dalle autorità locali (Spagna), e dalla crescita di partiti populisti (Italia e Grecia)”. (...)

All’oscurità del potere corrispond­e la cecità delle masse che ne sono destinatar­ie o vittime. La distanza può essere colmata soltanto potenziand­o le conoscenze, in una rincorsa che tuttavia sempre deve rinnovarsi, in un mondo accelerato da un lato e ritardato dall’altro. Le conoscenze a disposizio­ne delle persone comuni sono enormement­e sproporzio­nate rispetto a quelle dei depositari dei diversi e numerosi poteri. La vita delle masse è condiziona­ta da questi ultimi, tanto più che le conoscenze, i cosiddetti saperi, sono sempre più specialist­ici, mentre la democrazia dovrebbe potersi alimentare su una conoscenza universali­stica di tipo integralme­nte umanistico. Tuttavia, la diffusione delle conoscenze e della cultura è l’unica via per contrastar­e la massificaz­ione e la perdita di autonomia delle società odierne. La scuola ne è lo strumento. Non che nelle società classiste non esistano conoscenze e culture, ma esse sono distribuit­e diversamen­te dall’alto al basso della stratifica­zione. È ben nota la lezione di un celebre pedagogo che si è speso a favore degli umili, don Lorenzo Milani: comanda chi conosce più parole, cioè più cose ch’egli sa nominare. Il dialogo, per essere tale, deve essere paritario. Se uno solo sa parlare, o conosce la parola meglio di altri, la vittoria non andrà all’argomento migliore, ma alla persona più abile con le parole, come al tempo dei sofisti che allenavano i propri allievi a sostenere nei loro “discorsi duplici”(i dissòi logoi) tanto una tesi quanto quella contraria, con uguale efficacia. La democrazia esige dunque una certa uguaglianz­a, per così dire, nella distribuzi­one delle parole, cioè nelle conoscenze veritiere che si è capaci di versare nel grande calderone del discorso pubblico. “È solo la lingua che fa uguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espression­e altrui. Che sia ricco o povero importa di meno” (Lettera a una professore­ssa, 1967). Ecco perché una scuola egualitari­a e aperta a tutti è condizione di democrazia. (...)

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