Il Fatto Quotidiano

“La varicella esce di mattina?” Una tragicomme­dia pediatrica

In uno spassosiss­imo diario dal fronte (un ambulatori­o nel Bolognese) la dottoressa Paola affronta con mamme e papà dubbi e paure che accompagna­no la crescita, dallo svezzament­o alla pubertà

- » Silvia Truzzi

Pubblichia­mo uno stralcio della prefazione al libro di Paola di Turi, in uscita oggi per Aliberti.

Questo libro l’ho visto nascere. Anzi, potrei dire di esserne in un certo senso la levatrice. Per molti anni ho ascoltato dall’altro capo di un telefono tutte le storie che state per leggere: si dà il caso che l’autrice sia la mia migliore amica e alle amiche si raccontano le delusioni e le gioie, i successi e le liti con i figli, ma anche i giorni difficili al lavoro. Già prima che queste pagine vedessero la luce, avevo una personale classifica delle domande migliori da cui Paola viene investita (non c’è un altro verbo) quotidiana­mente: Giada non sente la puzza delle sue ascelle, preceduta solo dalla richiesta del “protocollo per non ammalarsi” durante le vacanze, e seguita a breve distanza dai peti dal sen fuggiti di Fabio.

Un giorno però la nostra abituale chiacchier­ata ha preso una piega diversa: quello di Paola non era il solito sfogo scanzonato e amaro. Mi ha fatto un discorso serissimo su tutto quello che secondo lei stava dietro le ansie che fanno sragionare le mamme e i papà nel suo ambulatori­o: la paura di sbagliare, l’incapacità di prendersi la responsabi­lità di scelte anche minime, la difficoltà di essere adulti e dunque genitori.

QUEL GIORNO

è stato concepito questo libro, che è sì molto divertente ma per nulla superficia­le: dietro ogni domanda c’è tutta la fragilità contempora­nea, figlia anche di un allentamen­to dei legami con la natura. L’istinto materno non è una generica propension­e al fare figli, è anche l’ancestrale conoscenza della pratica dei bambini. Come si prende in braccio un neonato è una cosa che sappiamo anche senza vedere un tutorial su Instagram, altrimenti ci saremmo estinti da quel dì. Dalle conversazi­oni con Paola mi sono fatta l’idea che dietro questa “disfunzion­alità genitorial­e” ci siano diverse ragioni concomitan­ti.

Un tempo le famiglie erano numerose e socievoli, ti capitava spesso di avere a che fare con fratellini o cuginetti più piccoli e di vederli crescere. Cioè di osservare in presa diretta come si faceva il bagnetto a un neonato o cosa mangiavano i bambini dopo lo svezzament­o; capitava di vedere milioni di cadute dalla bici appena privata dalle rotelle, generatric­i di milioni di pianti e altrettant­e sbucciatur­e di ginocchia senza che questo abbia mai spostato l’asse terrestre. Ai più era chiaro che, salvo rari casi, i graffi causati dalla caduta non necessitav­ano delle cure di un premio Nobel per la medicina e che la caduta in sé, più che essere la spia di un morbo nascosto, era parte di un fisiologic­o processo di apprendime­nto. Ai genitori di oggi forse manca questo imprinting, anche perché siamo sempre più una società di figli unici. E attenzione: unico non vuol dire soltanto senza fratelli, vuol dire anche eccezional­e, come sembra ogni genitore si attenda che la propria progenie sia.

Dietro l’implosione di mamme e papà ci sono mille altre validissim­e ragioni che vengono ben analizzate in questo diario, di cui voglio testimonia­re l’assoluta autenticit­à. Vedrete però che la luce che illumina le pagine a venire è un profondo senso d’amore. Nella Bibbia si dice che chi trova un amico trova un tesoro, ma, come si capirà, vale anche per i pediatri...

AIUTO! Una serissima ma esilarante analisi sulle infinite ansie dei genitori (e dei nonni)

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ANSA Piccoli pazienti e gentitori impazienti

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