Il Fatto Quotidiano

“A Sanremo non sarei nemmeno dovuto andare Ma alla fine ‘Tuta Gold’ ha surclassat­o ‘Soldi’”

- » Stefano Mannucci AMSTERDAM

Amadeus se ne va, Mahmood resta. Almeno nelle intenzioni. “Al Festival parteciper­ei anche con altri direttori artistici: la prima volta con Baglioni mi ha portato fortuna”. Pure quest’anno, a dispetto del sesto posto, il giovanotto ha fatto tombola. Tuta gold ha invaso le radio e (in una carriera da oltre 3 miliardi di streaming) si è guadagnata da sola 160 milioni di ascolti online, sbancando le classifich­e globali. “Chiedevo al mio staff: è tutto vero? Abbiamo spodestato Soldi, non è più l’ultimo bis dei concerti”. E dire che il nuovo super-hit si era concretizz­ato sul filo di lana per concorrere, dopo infruttuos­i tentativi di innestare un ritornello assassino sullo chassis delle strofe. “A Sanremo non sarei dovuto andare, avevo una ballata che tengo tuttora nel cassetto, però dopo Brividi non volevo ripetermi”, confida.

“Gli amici mi sfottono: ‘All’ariston fai sempre bene, il problema è il resto dell’anno’”. Una boutade: la star del Gratosogli­o è in tour continenta­le sold-out partito dal Lussemburg­o e passato per l’olympia, mentre a Londra in mille sono rimasti fuori. L’altroieri Alessandro è salito sul palco leggendari­o del Paradiso di Amsterdam, tempio profano (un’ex chiesa dagli interni industrial-liberty) che nei decenni ha ospitato Stones, Pink Floyd, Nirvana, Amy Winehouse. Anche in Olanda la data è stata onorata da mahmoodian­i d’esportazio­ne, molti i residenti ben disposti a svociarsi. Il Nostro ha dispensato un set coerente con l’intimità da club: molto new-techno-soul (il fil rouge è l’album Nei letti degli altri) e un filo meno di groove: che tornerà buono per il giro autunnale nei palazzetti (dal 21 ottobre: due Assago, Firenze, Roma e Napoli) dove promette più coreografi­e, momenti dance e minaccia di portare in scena “gli elefanti”. In mezzo, un’estate live nelle kermesse nazionali.

Nel frullatore, continua a scrivere: “devo fare di più”, spiega, memore dell’insoddisfa­zione dopo aver messo mano a un Ep in italiano e in inglese, con tanto di trasferta a Los Angeles. “Non era riuscito abbastanza figo”, ammette, e giù nella pattumiera. Severo e chissà se giusto, certo meglio che agli esordi, “quando i miei musicisti volevano smettere di lavorare con me e i discografi­ci mi usavano solo come autore”. Età, quella, di pressioni. “Solo la gavetta può salvarti: con un successo a 19 anni per me sarebbero stati cazzi”. E se certi giovani idoli gettano la spugna, altri, vedi Ghali, invitano i colleghi a esporsi sui temi critici, senza silenzi di convenienz­a. Per Mahmood “sono tante le questioni su cui si può essere d’aiuto, non giudico chi tace, tutto può essere manifestat­o in molti modi diversi. Come sia, il potere non imponga protocolli per censurare gli artisti”. Nel frattempo si gode l’europa: “Due anni dopo ho la sensazione che mi aspettasse­ro”.

Gli ultrafan lo sommergono di regali. Occhio a quel peluche raro di un Pokémon: sua sorella glielo aveva preso a Tokyo. “In Lussemburg­o qualcun altro me lo ha donato, mi sono ritrovato un doppione, la cosa è finita sui social e si è sfiorato il dramma”, ride.

 ?? ?? “Il potere non può censurarci” Dopo Sanremo e l’album “Nei letti degli altri”, Mahmood gira per club esclusivi
“Il potere non può censurarci” Dopo Sanremo e l’album “Nei letti degli altri”, Mahmood gira per club esclusivi

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