A Roma sciopero della fame e tende: “La rettrice fa parlare solo i manganelli”
“Avanti finché non ci ricevono”
Francesca Lini festeggia il suo ventiquattresimo compleanno con il cerchio delle catene da neve legato attorno alla vita. È incatenata alla porta del rettorato della Sapienza di Roma assieme a un altro studente, Lorenzo Cusmai, vincolato a lei e all’ingresso del palazzo da una rete di lucchetti e catenelle d’alluminio. L’area di accesso al rettorato è ostacolata da due automobili della polizia che hanno l’unico effetto di rendere il loro giaciglio più claustrofobico. Accanto ai ragazzi ci sono due tende, una sedia, due bandiere della Palestina attaccate alle pareti con il nastro adesivo, una bottiglia d’acqua, una di Gatorade e alcuni cartelloni con gli slogan della protesta: “La Sapienza ha le mani sporche di sangue”, “Stop accordi, Polimeni ascoltaci”.
IL COMPLEANNO
di Francesca, studentessa di Mediazione linguistica interculturale, coincide con il loro primo giorno di sciopero della fame: non ci sarà nessuna torta. Antonella Polimeni, la persona cui si appellano, è la rettrice della Sapienza: “Noi chiediamo di avere un’interlocuzione reale, pubblica, aperta con l’università”, spiega Leonardo, iscritto a Filosofia e militante (come Francesca) del collettivo comunista Cambiare Rotta. “Abbiamo invitato la rettrice all’assemblea di domani (oggi, ndr) che si terra nel ‘pratone’ della Città universitaria. Non ci aspettiamo che aderisca miracolosamente alle nostre richieste, ma almeno le vorremmo poter parlare”. Finora, lamentano gli studenti, Polimeni si è sottratta al confronto e si è lasciata rappresentare dalla polizia: anche martedì la manifestazione pro Palestina è stata scandita dai manganelli e dalle cariche, due universitari sono stati fermati e processati ieri per direttissima. “Smetteremo lo sciopero della fame quando Polimeni ci riceverà”, conferma Francesca. Le richieste sono le stesse che stanno portando avanti i collettivi in tutta Italia insieme a migliaia di accademici: la sospensione degli accordi con le università israeliane, con le industrie belliche e le fondazioni a esse collegate (come il Medor di Leonardo). Attorno ai due ragazzi incatenati è un via vai di telecamere e giornalisti. Per il resto il pomeriggio della Sapienza scorre tranquillo, sonnacchioso, la polizia presidia a distanza con due camionette piazzate all’ingresso della città universitaria.
SUL PRATONE, all’altezza dell’aula T1, sono accampati altri ragazzi: “Tende contro il genocidio, Sapienza for Palestine”. All’interno del fabbricato invece si svolge una giornata dedicata al “job placement”, con i banchetti delle aziende e stormi di studenti che lasciano il curriculum. È pubblicizzata come “Sapienza Career Days”. Il contrasto è notevole: dentro file di stand (tra cui Eni, Leonardo e Gedi), fuori gli studenti che protestano contro le violenze dell’esercito israeliano. “Non l’abbiamo fatto apposta”, sorride Sara Frioni, 20 anni, iscritta a Scienze Politiche, “noi dormiamo qui in tenda da domenica sera, però non ci dispiace manifestare di fronte ai gazebo di chi appoggia un’azione criminale che ha ucciso 35 mila palestinesi”.
Secondo il rettore di Napoli a mobilitarsi per la Palestina sono pochi studenti, sempre gli stessi, i soliti collettivi: “È falso – replica Francesca –, su questo tema sono coinvolti sempre più ragazzi e c’è una sinergia forte con i docenti. È chiaro che in un’università con 120mila iscritti, di fronte a un dramma storico come quello di Gaza, bisogna risvegliare dall’apatia e coinvolgere ancora più persone”.
Incatenati Francesca e Lorenzo iniziano il digiuno: “Stop agli accordi con Israele”