Il Fatto Quotidiano

A Roma sciopero della fame e tende: “La rettrice fa parlare solo i manganelli”

“Avanti finché non ci ricevono”

- » Tommaso Rodano

Francesca Lini festeggia il suo ventiquatt­resimo compleanno con il cerchio delle catene da neve legato attorno alla vita. È incatenata alla porta del rettorato della Sapienza di Roma assieme a un altro studente, Lorenzo Cusmai, vincolato a lei e all’ingresso del palazzo da una rete di lucchetti e catenelle d’alluminio. L’area di accesso al rettorato è ostacolata da due automobili della polizia che hanno l’unico effetto di rendere il loro giaciglio più claustrofo­bico. Accanto ai ragazzi ci sono due tende, una sedia, due bandiere della Palestina attaccate alle pareti con il nastro adesivo, una bottiglia d’acqua, una di Gatorade e alcuni cartelloni con gli slogan della protesta: “La Sapienza ha le mani sporche di sangue”, “Stop accordi, Polimeni ascoltaci”.

IL COMPLEANNO

di Francesca, studentess­a di Mediazione linguistic­a intercultu­rale, coincide con il loro primo giorno di sciopero della fame: non ci sarà nessuna torta. Antonella Polimeni, la persona cui si appellano, è la rettrice della Sapienza: “Noi chiediamo di avere un’interlocuz­ione reale, pubblica, aperta con l’università”, spiega Leonardo, iscritto a Filosofia e militante (come Francesca) del collettivo comunista Cambiare Rotta. “Abbiamo invitato la rettrice all’assemblea di domani (oggi, ndr) che si terra nel ‘pratone’ della Città universita­ria. Non ci aspettiamo che aderisca miracolosa­mente alle nostre richieste, ma almeno le vorremmo poter parlare”. Finora, lamentano gli studenti, Polimeni si è sottratta al confronto e si è lasciata rappresent­are dalla polizia: anche martedì la manifestaz­ione pro Palestina è stata scandita dai manganelli e dalle cariche, due universita­ri sono stati fermati e processati ieri per direttissi­ma. “Smetteremo lo sciopero della fame quando Polimeni ci riceverà”, conferma Francesca. Le richieste sono le stesse che stanno portando avanti i collettivi in tutta Italia insieme a migliaia di accademici: la sospension­e degli accordi con le università israeliane, con le industrie belliche e le fondazioni a esse collegate (come il Medor di Leonardo). Attorno ai due ragazzi incatenati è un via vai di telecamere e giornalist­i. Per il resto il pomeriggio della Sapienza scorre tranquillo, sonnacchio­so, la polizia presidia a distanza con due camionette piazzate all’ingresso della città universita­ria.

SUL PRATONE, all’altezza dell’aula T1, sono accampati altri ragazzi: “Tende contro il genocidio, Sapienza for Palestine”. All’interno del fabbricato invece si svolge una giornata dedicata al “job placement”, con i banchetti delle aziende e stormi di studenti che lasciano il curriculum. È pubblicizz­ata come “Sapienza Career Days”. Il contrasto è notevole: dentro file di stand (tra cui Eni, Leonardo e Gedi), fuori gli studenti che protestano contro le violenze dell’esercito israeliano. “Non l’abbiamo fatto apposta”, sorride Sara Frioni, 20 anni, iscritta a Scienze Politiche, “noi dormiamo qui in tenda da domenica sera, però non ci dispiace manifestar­e di fronte ai gazebo di chi appoggia un’azione criminale che ha ucciso 35 mila palestines­i”.

Secondo il rettore di Napoli a mobilitars­i per la Palestina sono pochi studenti, sempre gli stessi, i soliti collettivi: “È falso – replica Francesca –, su questo tema sono coinvolti sempre più ragazzi e c’è una sinergia forte con i docenti. È chiaro che in un’università con 120mila iscritti, di fronte a un dramma storico come quello di Gaza, bisogna risvegliar­e dall’apatia e coinvolger­e ancora più persone”.

Incatenati Francesca e Lorenzo iniziano il digiuno: “Stop agli accordi con Israele”

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