IL CAMBIAMENTO DI DRAGHI È TUTTA ROBA VECCHISSIMA
Per chi crede e chiede un’europa giusta e all’avanguardia, sociale, produttiva e ambientale, il consenso alle anticipazioni di Mario Draghi del suo Rapporto sulla competitività si esaurisce nel primo e ultimo rigo: “Cambiamento radicale” e “non possiamo aspettare nuovi Trattati”. Ma per fare cosa? Le anticipazioni prefigurano in realtà un tuffo nel buio, l’accanimento di una terapia sbagliata – Ue come una copia degli Usa? – da cui ci si stava con stop and go ritraendo per i danni che ha inferto assieme a diritti sociali e produttività, allontanando i popoli.
Pesa una logica succube nel quadro internazionale, dove si insiste a ignorare che siamo entrati nel secolo dell’asia, si ignora la priorità di ricostruire un rapporto paritario con l’africa, si affronta mettendosi in trincea il tema delle “risorse critiche strategiche”, dove la carta vera è promuovere filiere che non dipendano da materie possedute da pochi ed estratte con altissimi costi ambientali e umani. Si mette il riarmo al centro del rilancio della domanda: la parola “difesa” ricorre ossessivamente 9 volte, “diplomazia” non una. Si ignora la bandiera della concorrenza e si mira a rafforzare i monopoli. Si tratta “sociale” come vincolo di “economico”, non come un fine. Vediamo le tre parole chiave anticipate da Draghi, confrontandole con le idee di un’europa radicalmente diversa, questa sì, raccontata nelle 13 tessere proposte dal Forum Disuguaglianze Diversità in
Scalabilità. Nella rincorsa miope ai modelli statunitense e cinese, l’obiettivo indicato è uno: accelerare la concentrazione della conoscenza e del controllo produttivo in poche mani. Il primo esempio è la “difesa”, la stella polare di Draghi: certo che ha senso, nel necessario coordinamento della difesa in Europa – se non altro per evitare in futuro fughe in avanti di singoli Stati membri – prevedere appalti collaborativi o congiunti, ma al servizio di una trasparente strategia di pace, non di un’economia dominata dal mix letale di segreti militari e proprietà intellettuale. La devianza monopolistica appare eclatante con riguardo all’industria privata dei farmaci, dove scrive: “La scala è essenziale per lo sviluppo di farmaci nuovi, attraverso la standardizzazione dei dati dei pazienti dell’ue (...) forti nella ricerca, non riusciamo a portare l’innovazione sul mercato”. Anziché promuovere la condivisione di dati fra pazienti nell’interesse sociale o un’infrastruttura europea per ricerca e sviluppo di farmaci, ecco che i nostri dati omogeneizzati sono pensati al servizio di ancor più alti extra-profitti di imprese farmaceutiche.
Beni pubblici. Dovrebbero indicare beni fruibili dall’intera società senza la formazione di profitti privati, ma, convinti che le persone non capiscano, l’espressione è diventata uno “specchietto per le allodole”. Qui sta a indicare che lo Stato, tutti noi, ci mettiamo i fondi per gli investimenti pubblici, che devono crescere, certo, ma per quali fini? Non per rafforzare e scalare lo Stato sociale, che è perno della “potenza competitiva e attrattiva” dell’europa: assenza eclatante, visto che parlava nella Conferenza sul Pilastro europeo dei diritti sociali. Ma, di nuovo, per la difesa: è con riferimento a questa unica vera certezza che si chiede di rilanciare la capacità di indebitamento comune dell’unione. Lo si spieghi alle nuove generazioni che dovranno ripagare quel debito. Si aggiunge: per sviluppare la rete pubblica di computer ad alte prestazioni. Giusto, ma l’unico uso evocato è l’utilizzo da parte di start-up private di intelligenza artificiale, senza alcun riferimento all’impiego per rafforzare quella capacità di pesare, di attenzione ai diritti delle persone, che è il tratto distintivo del sistema di regole europee sul digitale. E ancora: per rafforzare le interconnessioni delle reti energetiche. Giusto, ma per energia da quali fonti? L’“agenda climatica ambiziosa” viene citata solo per dire che è giusta, ma poi, nei fatti, parlando di “industrie ad alta intensità energetica” si evoca il carico normativo maggiore e i minori sussidi delle imprese europee rispetto alle concorrenti: è chiaro cosa ci prepara? Né vi è alcun approfondimento – ci sarà nel Rapporto? – sul forte vantaggio comparato che l’europa ha in alcune filiere verdi (si vedano gli studi del Centro Fermi) e come puntare su di esse.
Risorse e input essenziali. Delle risorse strategiche critiche si è detto. Resta il lavoro. Lasciamo anche stare che lo chiami “input”, un modo di due secoli fa per parlare alle parti sociali che lo ascoltavano. Dopo aver segnalato un mismatch noto fra offerta e domanda di lavoro, Draghi si volge alla destra e prende atto degli “atteggiamenti meno favorevoli nei confronti dell’immigrazione” – sarebbe questa la moralità dell’europa e il modo di guardare al futuro di fronte alla caduta demografica e a sommovimenti migratori legati anche al cambiamento climatico a cui abbiamo concorso? – per tornare poi a politiche inefficaci del passato: preparare gli “input” necessari qui in casa. Ignaro che con la rapidità del cambiamento di domanda se preparo giovani per una super-specializzazione X, fra quattro anni diranno loro che serve Y. E che la strada è invece di una forte, diffusa preparazione culturale e tecnica di base che consenta adattabilità e libertà.
La chiosa finale, “dare più potere ai nostri lavoratori”, appare in totale dissintonia con l’intero impianto. Ma se Draghi intendesse ciò che dice, lo strumento della Direttiva sulla
è sul tavolo in Europa per essere resa efficace come il Forum DD propone. Siamo qui.
MIGLIORI IL DOCUMENTO PRESENTATO SEMBRA UN ACCANIMENTO TERAPEUTICO: UE COME USA?