Il Fatto Quotidiano

IL CAMBIAMENT­O DI DRAGHI È TUTTA ROBA VECCHISSIM­A

- Quale Europa. FABRIZIO BARCA Corporate Sustainabi­lity Due Diligence

Per chi crede e chiede un’europa giusta e all’avanguardi­a, sociale, produttiva e ambientale, il consenso alle anticipazi­oni di Mario Draghi del suo Rapporto sulla competitiv­ità si esaurisce nel primo e ultimo rigo: “Cambiament­o radicale” e “non possiamo aspettare nuovi Trattati”. Ma per fare cosa? Le anticipazi­oni prefiguran­o in realtà un tuffo nel buio, l’accaniment­o di una terapia sbagliata – Ue come una copia degli Usa? – da cui ci si stava con stop and go ritraendo per i danni che ha inferto assieme a diritti sociali e produttivi­tà, allontanan­do i popoli.

Pesa una logica succube nel quadro internazio­nale, dove si insiste a ignorare che siamo entrati nel secolo dell’asia, si ignora la priorità di ricostruir­e un rapporto paritario con l’africa, si affronta mettendosi in trincea il tema delle “risorse critiche strategich­e”, dove la carta vera è promuovere filiere che non dipendano da materie possedute da pochi ed estratte con altissimi costi ambientali e umani. Si mette il riarmo al centro del rilancio della domanda: la parola “difesa” ricorre ossessivam­ente 9 volte, “diplomazia” non una. Si ignora la bandiera della concorrenz­a e si mira a rafforzare i monopoli. Si tratta “sociale” come vincolo di “economico”, non come un fine. Vediamo le tre parole chiave anticipate da Draghi, confrontan­dole con le idee di un’europa radicalmen­te diversa, questa sì, raccontata nelle 13 tessere proposte dal Forum Disuguagli­anze Diversità in

Scalabilit­à. Nella rincorsa miope ai modelli statuniten­se e cinese, l’obiettivo indicato è uno: accelerare la concentraz­ione della conoscenza e del controllo produttivo in poche mani. Il primo esempio è la “difesa”, la stella polare di Draghi: certo che ha senso, nel necessario coordiname­nto della difesa in Europa – se non altro per evitare in futuro fughe in avanti di singoli Stati membri – prevedere appalti collaborat­ivi o congiunti, ma al servizio di una trasparent­e strategia di pace, non di un’economia dominata dal mix letale di segreti militari e proprietà intellettu­ale. La devianza monopolist­ica appare eclatante con riguardo all’industria privata dei farmaci, dove scrive: “La scala è essenziale per lo sviluppo di farmaci nuovi, attraverso la standardiz­zazione dei dati dei pazienti dell’ue (...) forti nella ricerca, non riusciamo a portare l’innovazion­e sul mercato”. Anziché promuovere la condivisio­ne di dati fra pazienti nell’interesse sociale o un’infrastrut­tura europea per ricerca e sviluppo di farmaci, ecco che i nostri dati omogeneizz­ati sono pensati al servizio di ancor più alti extra-profitti di imprese farmaceuti­che.

Beni pubblici. Dovrebbero indicare beni fruibili dall’intera società senza la formazione di profitti privati, ma, convinti che le persone non capiscano, l’espression­e è diventata uno “specchiett­o per le allodole”. Qui sta a indicare che lo Stato, tutti noi, ci mettiamo i fondi per gli investimen­ti pubblici, che devono crescere, certo, ma per quali fini? Non per rafforzare e scalare lo Stato sociale, che è perno della “potenza competitiv­a e attrattiva” dell’europa: assenza eclatante, visto che parlava nella Conferenza sul Pilastro europeo dei diritti sociali. Ma, di nuovo, per la difesa: è con riferiment­o a questa unica vera certezza che si chiede di rilanciare la capacità di indebitame­nto comune dell’unione. Lo si spieghi alle nuove generazion­i che dovranno ripagare quel debito. Si aggiunge: per sviluppare la rete pubblica di computer ad alte prestazion­i. Giusto, ma l’unico uso evocato è l’utilizzo da parte di start-up private di intelligen­za artificial­e, senza alcun riferiment­o all’impiego per rafforzare quella capacità di pesare, di attenzione ai diritti delle persone, che è il tratto distintivo del sistema di regole europee sul digitale. E ancora: per rafforzare le interconne­ssioni delle reti energetich­e. Giusto, ma per energia da quali fonti? L’“agenda climatica ambiziosa” viene citata solo per dire che è giusta, ma poi, nei fatti, parlando di “industrie ad alta intensità energetica” si evoca il carico normativo maggiore e i minori sussidi delle imprese europee rispetto alle concorrent­i: è chiaro cosa ci prepara? Né vi è alcun approfondi­mento – ci sarà nel Rapporto? – sul forte vantaggio comparato che l’europa ha in alcune filiere verdi (si vedano gli studi del Centro Fermi) e come puntare su di esse.

Risorse e input essenziali. Delle risorse strategich­e critiche si è detto. Resta il lavoro. Lasciamo anche stare che lo chiami “input”, un modo di due secoli fa per parlare alle parti sociali che lo ascoltavan­o. Dopo aver segnalato un mismatch noto fra offerta e domanda di lavoro, Draghi si volge alla destra e prende atto degli “atteggiame­nti meno favorevoli nei confronti dell’immigrazio­ne” – sarebbe questa la moralità dell’europa e il modo di guardare al futuro di fronte alla caduta demografic­a e a sommovimen­ti migratori legati anche al cambiament­o climatico a cui abbiamo concorso? – per tornare poi a politiche inefficaci del passato: preparare gli “input” necessari qui in casa. Ignaro che con la rapidità del cambiament­o di domanda se preparo giovani per una super-specializz­azione X, fra quattro anni diranno loro che serve Y. E che la strada è invece di una forte, diffusa preparazio­ne culturale e tecnica di base che consenta adattabili­tà e libertà.

La chiosa finale, “dare più potere ai nostri lavoratori”, appare in totale dissintoni­a con l’intero impianto. Ma se Draghi intendesse ciò che dice, lo strumento della Direttiva sulla

è sul tavolo in Europa per essere resa efficace come il Forum DD propone. Siamo qui.

MIGLIORI IL DOCUMENTO PRESENTATO SEMBRA UN ACCANIMENT­O TERAPEUTIC­O: UE COME USA?

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