Rai, di tutto di meno: l’imperativo assoluto è far fuori il dissenso
“DLA MISSIONE ADDII E ASCOLTI BASSI NON CONTANO: L’IMPORTANTE È NON DISTURBARE
a Viale Mazzini se ne andrà anche il cavallo”: la battuta più bella l’ha fatta Filippo Sensi, senatore del Pd (non dimentichiamo però che in questo disastro chiamato Rai il governo Renzi, di cui Sensi fu portavoce, ha fatto la sua parte con la pessima riforma che ha cancellato le reti). Quel che resta del servizio pubblico perde volti (la faccia l’ha persa da quel dì), ma sembra che siano più preoccupati i commentatori che i dirigenti, se l’ad Roberto Sergio liquida l’addio del Re Mida di Rai1, Amadeus, con un laconico post “buona vita e arrivederci”, seguito da un altrettanto laconico commento (“Contro le scelte di vita non si può fare nulla”). Non c’è nessuna fuga, insomma, ed è un po’ la tesi dei destri: ogni addio (tra i molti) fa storia a sé, il ricambio è fisiologico. O forse solo logico: basta leggere il comunicato dell’usigrai seguito alle indiscrezioni che danno per imminente l’uscita di altri due volti importanti dell’azienda come Sigfrido Ranucci e Federica Sciarelli. Due professionisti il cui addio, per Usigrai, sarebbe “una perdita ancor più dolorosa perché si tratta di giornalisti interni da sempre impegnati nella ricerca della verità attraverso inchieste che hanno fatto la storia dell’azienda. Ci chiediamo se il mandato di questo vertice sia quello di distruggere la Rai”.
Non è un caso che Sciarelli e Ranucci siano due dei principali volti rimasti a Rai3, la rete storicamente più di sinistra del servizio pubblico: la decisione di cancellare le repliche di Report dal palinsesto estivo (costo zero, buoni ascolti assicurati) spiega benissimo la missione dei vertici Rai.
C’È POI L’INCRESCIOSA vicenda della par condicio in vista delle elezioni europee: per la prima volta la
Rai e le altre televisioni avranno regolamenti “sostanzialmente” ma non proprio uguali, per via della discrepanza tra il regolamento varato da Agcom e quello varato dalla Commissione parlamentare di Vigilanza Rai. Lo dice la commissaria Agcom Elisa Giomi (che critica anche la delibera della sua Autorità, che ha avuto il suo voto contrario): “Per la prima volta dalla promulgazione della legge sulla par condicio nel 2000 i due regolamenti che la attuano sono differenti”. Di fatto “il regolamento della Vigilanza per le reti Rai prevede che gli esponenti di governo non abbiano limiti al tempo di parola se si tratta di informazione sulle attività istituzionali”. Tanto è vero che in coda ai telegiornali Rai del 12 aprile è stato letto un comunicato di Usigrai che senza mezzi termini afferma che “la maggioranza di governo ha deciso di trasformare la Rai nel proprio megafono. Lo ha fatto attraverso la Commissione di Vigilanza che ha approvato una norma che consente ai rappresentanti del governo di parlare nei talk senza vincoli di tempo e senza contraddittorio”. Ieri l’assemblea dei Cdr e dei fiduciari della Rai ha proclamato a larghissima maggioranza lo stato di agitazione, affidando a Usigrai un pacchetto di 5 giorni di sciopero.
Dunque, l’inaugurazione di un ponte su un ruscello, assicurando l’informazione istituzionale, sarà l’occasione per un comizio, senza pericolo di violare la par condicio. La quale fa ridere in sé: abbiamo un’informazione pubblica controllata dalla politica (unico caso tra le democrazie nel mondo) ma ci impicchiamo a regole minuziosissime per il rispetto dei contraddittori e dei minutaggi riservati ai partiti in campagna elettorale. Come si vede, basta una frasetta della Commissione di Vigilanza per smontare tutto. Sostanzialmente e di fatto: la missione di questa dirigenza, che sta per essere in parte rinnovata dal governo, è non disturbare Palazzo Chigi. E pazienza se per non innervosire il signor presidente del Consiglio si svuota, riducendola a un fantoccio, quella che un tempo si poteva definire senza imbarazzi la più importante industria culturale del Paese.