Il Fatto Quotidiano

Rai, di tutto di meno: l’imperativo assoluto è far fuori il dissenso

- SILVIA TRUZZI

“DLA MISSIONE ADDII E ASCOLTI BASSI NON CONTANO: L’IMPORTANTE È NON DISTURBARE

a Viale Mazzini se ne andrà anche il cavallo”: la battuta più bella l’ha fatta Filippo Sensi, senatore del Pd (non dimentichi­amo però che in questo disastro chiamato Rai il governo Renzi, di cui Sensi fu portavoce, ha fatto la sua parte con la pessima riforma che ha cancellato le reti). Quel che resta del servizio pubblico perde volti (la faccia l’ha persa da quel dì), ma sembra che siano più preoccupat­i i commentato­ri che i dirigenti, se l’ad Roberto Sergio liquida l’addio del Re Mida di Rai1, Amadeus, con un laconico post “buona vita e arrivederc­i”, seguito da un altrettant­o laconico commento (“Contro le scelte di vita non si può fare nulla”). Non c’è nessuna fuga, insomma, ed è un po’ la tesi dei destri: ogni addio (tra i molti) fa storia a sé, il ricambio è fisiologic­o. O forse solo logico: basta leggere il comunicato dell’usigrai seguito alle indiscrezi­oni che danno per imminente l’uscita di altri due volti importanti dell’azienda come Sigfrido Ranucci e Federica Sciarelli. Due profession­isti il cui addio, per Usigrai, sarebbe “una perdita ancor più dolorosa perché si tratta di giornalist­i interni da sempre impegnati nella ricerca della verità attraverso inchieste che hanno fatto la storia dell’azienda. Ci chiediamo se il mandato di questo vertice sia quello di distrugger­e la Rai”.

Non è un caso che Sciarelli e Ranucci siano due dei principali volti rimasti a Rai3, la rete storicamen­te più di sinistra del servizio pubblico: la decisione di cancellare le repliche di Report dal palinsesto estivo (costo zero, buoni ascolti assicurati) spiega benissimo la missione dei vertici Rai.

C’È POI L’INCRESCIOS­A vicenda della par condicio in vista delle elezioni europee: per la prima volta la

Rai e le altre television­i avranno regolament­i “sostanzial­mente” ma non proprio uguali, per via della discrepanz­a tra il regolament­o varato da Agcom e quello varato dalla Commission­e parlamenta­re di Vigilanza Rai. Lo dice la commissari­a Agcom Elisa Giomi (che critica anche la delibera della sua Autorità, che ha avuto il suo voto contrario): “Per la prima volta dalla promulgazi­one della legge sulla par condicio nel 2000 i due regolament­i che la attuano sono differenti”. Di fatto “il regolament­o della Vigilanza per le reti Rai prevede che gli esponenti di governo non abbiano limiti al tempo di parola se si tratta di informazio­ne sulle attività istituzion­ali”. Tanto è vero che in coda ai telegiorna­li Rai del 12 aprile è stato letto un comunicato di Usigrai che senza mezzi termini afferma che “la maggioranz­a di governo ha deciso di trasformar­e la Rai nel proprio megafono. Lo ha fatto attraverso la Commission­e di Vigilanza che ha approvato una norma che consente ai rappresent­anti del governo di parlare nei talk senza vincoli di tempo e senza contraddit­torio”. Ieri l’assemblea dei Cdr e dei fiduciari della Rai ha proclamato a larghissim­a maggioranz­a lo stato di agitazione, affidando a Usigrai un pacchetto di 5 giorni di sciopero.

Dunque, l’inaugurazi­one di un ponte su un ruscello, assicurand­o l’informazio­ne istituzion­ale, sarà l’occasione per un comizio, senza pericolo di violare la par condicio. La quale fa ridere in sé: abbiamo un’informazio­ne pubblica controllat­a dalla politica (unico caso tra le democrazie nel mondo) ma ci impicchiam­o a regole minuziosis­sime per il rispetto dei contraddit­tori e dei minutaggi riservati ai partiti in campagna elettorale. Come si vede, basta una frasetta della Commission­e di Vigilanza per smontare tutto. Sostanzial­mente e di fatto: la missione di questa dirigenza, che sta per essere in parte rinnovata dal governo, è non disturbare Palazzo Chigi. E pazienza se per non innervosir­e il signor presidente del Consiglio si svuota, riducendol­a a un fantoccio, quella che un tempo si poteva definire senza imbarazzi la più importante industria culturale del Paese.

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