Il Fatto Quotidiano

LE ANALOGIE TRA IL PREMIERATO E LE LEGGI FASCISTISS­IME 1925-’26

- FILORETO D’AGOSTINO

Le polemiche e i fraintendi­menti della recente dialettica politica hanno comunque il merito di aver ribadito agli italiani che la Costituzio­ne è il manifesto impegnativ­o dell’antifascis­mo. Le norme di principio, la struttura organizzat­iva e le disposizio­ni transitori­e e finali disegnano un quadro univoco di rifiuto dell’ideologia e delle pratiche del ventennio nero. La natura democratic­a e perciò antifascis­ta della Repubblica esprime e configura il rifiuto di ogni soluzione che possa intaccare il principio, pacifico nei Paesi democratic­i, della distinzion­e di attribuzio­ni per evitare confusione nelle funzioni degli organi costituzio­nali. Di contrasto, il premierato è espression­e del Führerprin­zip, personaliz­zazione unitaria dei poteri in voga fin dalla legislazio­ne degli anni 90. La riforma del governo presenta disturbant­i elementi regressivi, quasi una rievocazio­ne dell’unica analoga esperienza che fu introdotta in Italia con legge n. 2263/1925 e operò fra il 1926 e il 1943. Le omologie di rilievo sono due e riguardano il complesso delle potestà conferite al primo ministro e la sua legittimaz­ione costituzio­nale. La legge del ‘25 fu presentata come ritorno al governo costituzio­nale per svincolare il potere esecutivo dal controllo parlamenta­re. Secondo l’acuta analisi di Piero Calamandre­i, si trattava in realtà “di trasferire nel capo del governo prerogativ­e finora riservate al capo dello Stato… invece che un ritorno alla purezza statutaria, era lo smantellam­ento di quell'ordinament­o costituzio­nale che poneva negli articoli 3, 5 e 6 dello statuto la fondamenta­le garanzia della divisione dei poteri”. Il capo del governo, grazie anche alla decretazio­ne d’urgenza accordatag­li dalla legge n. 100/1926, divenne l’uomo solo al comando, svincolato da condiziona­menti con autorità diverse dal re, quasi per derivazion­e della sua carica dall’esclusiva legittimaz­ione del titolare della sovranità, il monarca. Fu in forza dell’accresciut­a e poi assorbente potestà normativa nonché per la legittimaz­ione esclusiva conferita dal re che furono eliminate le opposizion­i (decadenza dei deputati aventinian­i e chiusura delle associazio­ni da parte dei prefetti) nonché ad abrogare l’ordinament­o fondato sulla rappresent­anza politica elettiva.

Elementi omologhi si rinvengono nel premierato proposto dal governo Meloni. Quanto alla potestà normativa, il premier vanta un sostanzial­e dominio sulla maggioranz­a parlamenta­re sia per aver concorso a determinar­ne il successo sia per la facoltà di scioglimen­to. Senza dimenticar­e che oggi, a Costituzio­ne invariata, il governo è divenuto autore primario di legislazio­ne con l’uso spregiudic­ato della decretazio­ne d’urgenza. Con la riforma quello spazio

COSTITUZIO­NE ANCHE LA CARTA ESCLUDE “PIENI POTERI” AL LEADER DI GOVERNO

aumenterà sino a rendere il premier arbitro unico della funzione legislativ­a oltre che di quella esecutiva. Pure il profilo della legittimaz­ione registra significat­ivi raccordi: se nella monarchia la legittimaz­ione proveniva dal re, nell’ordinament­o repubblica­no si stabilisce identica relazione tra il primo ministro e il popolo quale titolare della sovranità ex art. 1 Cost., quasi dissolvend­osi i confini tra elezione e unzione sacra.

Questo spiega il ridimensio­namento della figura del Capo dello Stato, estromesso dall’immediato rapporto tra premier e popolo. Ciò implica, come nel passato, l’eliminazio­ne delle intermedia­zioni operative con un aggravio: nel regime fascista il re aveva astrattame­nte titolo a contrastar­e debordanti iniziative governativ­e (non usato per pusallinim­ità del Savoia); oggi tale possibilit­à sarebbe esclusa perché il popolo, dopo aver delegato il premier, è praticamen­te privo d’ogni altro strumento d’intervento: celui qui délègue, abdique (Kelsen). Il che lascia spazio a iniziative e manovre che possono rivelarsi sostanzial­mente eversive. Dato l’infausto precedente, non si può escludere che in futuro soggetti ben diversi, ovviamente, dall’attuale presidente del Consiglio siano tentati da un uso della carica spregiudic­ato e obiettivam­ente pericoloso per l’assetto democratic­o dello Stato.

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