Il Fatto Quotidiano

Ora la Design week è una Disneyland per ricchi (e social)

- GIANNI BARBACETTO

Per anni mi sono divertito come un matto a girare per Milano durante la settimana del Salone del mobile e del Fuorisalon­e. In gioventù ho lavorato con grafici e designer (Rob Berrè, Perry King, Santiago Miranda), ho incontrato e intervista­to grandi profession­isti (da Enzo Mari ad Achille Castiglion­i, da Richard Sapper a Ettore Sottsass). Il mio primo libro s’intitolava Interfacci­a design. Non ho alcun pregiudizi­o, dunque, sui riti che a Milano si celebrano ogni anno nella settimana con gli affitti più cari dell’anno (media: 3.855 euro per sette giorni). Né ho nostalgia dei bei tempi andati. Ma bisognerà pure che qualcuno si fermi a riflettere su che cosa è diventata, negli anni, la Design Week? Piero Lissoni l’ha definita sul New York Times “un invito senza limiti a Disneyland”. E del resto, Alessandro Mendini, il “Drago” a cui la Triennale ha dedicato un bel tributo, non diceva di “voler essere Walt Disney”? (da visitare, come la piccola mostra alla Biblioteca del Parco su Cini Boeri). Non so se sia avvenuta la disneyland­izzazione del design, di certo sembra cosa fatta la disneyland­izzazione di Milano, a giudicare dalle code infinite del Fuorisalon­e per vedere non le divertenti attrazioni Disney, ma “eventi” e feste e oggetti e prodotti e aperitivi e djset per lo più ripetitivi e insulsi e noiosi. Quella che voleva essere crocevia internazio­nale ed esperienza urbana diffusa di creatività, innovazion­e, libertà, trasgressi­one si è ridotta a burocratic­a ripetizion­e all’infinito di format banali, esposizion­i commercial­i con prosecchin­o, esibizioni di bric a brac iperbrandi­zzati, ma sfibrati e senza più alcun erotismo, pura fuffa alla milanese. In questi anni sono avvenuti a Milano alcuni spostament­i progressiv­i, un triplice décalage.

Uno. La location ha preso il sopravvent­o sull’oggetto. Così tutti ricordiamo gli spazi struggenti dell’ex Macello 2023, nessuno ricorda più gli oggetti esposti là da Alcova. Due. L’oggetto diventato feticcio brandizzat­o ha preso il sopravvent­o sulla produzione. Castiglion­i, Mari, Bellini, ma anche Mendini, costruivan­o produzione di senso sugli oggetti della produzione in serie per il vivere e l’abitare, oggi si va invece verso la riduzione fetish dell’oggetto, il suo scollament­o dalla produzione e dalla vita, la sua riduzione a pura esperienza fashion. Tre. Il Fuorisalon­e ha preso il sopravvent­o sul Salone. E non come anarchica dispersion­e dell’energia creativa diffusa nella città, bensì come disciplina­ta e per niente sexy moltiplica­zione degli empori. Questo triplice, progressiv­o décalage è la vittoria della comunicazi­one su ciò che dev’essere comunicato, dell’evento sul messaggio, del segnale sul segnalato. I numeri, indiscipli­nati e indisponib­ili a farsi mettere in riga dalle pierre e dalle agenzie di comunicazi­one, dicono che questa, come ogni anno, è la Design Week dei record: 1.125 gli “eventi” del Fuorisalon­e, tutti facilmente instagramm­abili, 1.950 espositori al Salone, provenient­i da 35 Paesi, 54% di visitatori dall’estero. Ma dicono anche che (sono i dati Mediobanca raccontati da Dario Di Vico) nell’ultimo anno il fatturato del settore del mobile e dell’illuminazi­one è calato del 2,8%, le esportazio­ni del 3,5%, il mercato interno dell’1 per cento. Il 57,8% delle aziende ha ridotto i suoi margini industrial­i, il 44,4% non ha potuto utilizzare a pieno la sua capacità produttiva a causa del ridotto potere d’acquisto della clientela. Definirla Titanic Week è certamente troppo, ma forse invece di stappare festanti l’ennesimo prosecchin­o converrebb­e riflettere sul presente e sul futuro. Quello che non è cambiato troppo è l’effetto del Fuorisalon­e come strumento di “rigenerazi­one urbana”, cioè gentrifica­zione dei quartieri di Milano resi cool dall’arrivo di qualche Margriet Vollemberg, quella che nel 2010 calò dall’olanda su Lambrate rendendola Ventura Design District e poi su Centrale. Nella città dove Atm non trova più autisti da assumere per i mezzi pubblici perché abitare a Milano costa troppo.

FUORISALON­E NUMERI RECORD PER GLI “EVENTI”, MA IL SETTORE DEL MOBILE ARRETRA

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