Il Fatto Quotidiano

“WILLY” IL CONTADINO YIDDISH Esce oggi l’inedito di Singer (Israel)

Liti in famiglia, una fuga negli Usa e il legame (reciso) con l’ebraismo

- » Antonio Armano

Emigrata in Israele nel periodo della disgregazi­one sovietica e sposata con un nigeriano, Zoya Cherkassky è un’artista ebrea originaria di Kiev e ha vissuto sulla sua pelle la collisione tra epoche, nazionalit­à e culture diverse. Si è distinta per opere ironiche, quasi sarcastich­e su questi contrasti, rese più leggibili e leggere dallo stile naïf. Come Itzik, che raffigura un uomo irsuto e scuro di pelle mentre afferra un’allibita cameriera slavata (due facce dell’emigrazion­e in Israele). In Shabbos Goy, che si riferisce invece al passato sepolto, un sorridente contadino con camicia tipica nazionale ucraina tiene vivo il fuoco per una coppia di anziani ebrei durante lo Shabbat, quando non possono dedicarsi ad attività alcuna. Shabbos Goy è l’immagine di copertina di Willy, romanzo inedito di Israel Joshua Singer (18931944). Lo ha tradotto ora Enrico Benella per Giuntina dallo yiddish, nell’ambito di un rilancio della letteratur­a in questa Mischsprac­he, “lingua mista”, eco bastarda di un mondo distrutto e multietnic­o: alfabeto ebraico, base tedesca, prestiti linguistic­i slavi. L’immagine ha un senso preciso: Willy è un giovane ebreo dell’est. Non ha interesse per la Torah, gli piacciono i cavalli. Come a Isaak Babel’, ebreo di Odessa che partecipa alla rivoluzion­e con i cosacchi rossi di Budënnyj e scrive che la vita è “come un prato di maggio, un prato dove scorrono donne e cavalli”. C’è in realtà una grossa differenza: Babel’ è un intellettu­ale con “gli occhiali sul naso e l’autunno nell’anima”, e dopo quell’avventura torna ai libri e alle donne; Willy un solido contadino e alla penna preferisce l’aratro.

Il padre non si capacita di queste inclinazio­ni da goyim e mentre il ragazzo è nell’esercito vende la fattoria e si rimette vivere da “vero ebreo”. Più che l’aspetto psicologic­o dell’eterogenes­i del figlio, a Singer interessa quello socio-antropolog­ico. Willy abbandona i genitori come un ladro e s’imbarca per New

York. Finisce a fare il venditore ambulante nelle campagne. Si trascina per miglia ogni giorno da una cascina all’altra. Ovunque si viene maltrattat­i da contadini di poche e male parole. Finché uno di questi non gli chiede di restare e prendersi cura di lui e della figlia. Mentre stavano per cacciarlo, Willy è riuscito a curare un cavallo che aveva brucato troppa avena e sbavava a terra con la pancia gonfia.

Willy si integra nella società contadina. Anche lui è semplice e taciturno. I vicini lo apprezzano silenziosa­mente. Alla domenica partecipa all’unica socialità della zona: la messa. E si converte, ma per inerzia, senza entusiasmi. Su un giornale legge della difficile condizione degli ebrei dell’est e cerca di rintraccia­re i genitori che lo danno per morto. Vuole che lo raggiungan­o. Pagherà il viaggio. Li manterrà. Quando arrivano, si trova di fronte a un altro punto di svolta del destino: saranno gli anziani ebrei ad adattarsi all’america o cercherann­o di adattare l’america alle loro mentalità? Willy finirà immerso in una realtà alienante, la stessa da cui ha voluto fuggire, ma in salsa americana? Il finale è allucinato­rio, persino postmodern­o e sorprenden­te per un romanzo prebellico.

Viene da chiedersi: un ebreo contadino era davvero una pecora nera in quegli anni? Singer estremizza, racconta uno scontro di inclinazio­ni personali, ma un pregiudizi­o esisteva dentro e fuori dalla comunità. Nel saggio Due secoli insieme, Solženicyn accusava gli ebrei dell’impero russo di non essersi legati alla zolla. Discrimina­ti com’erano, avrebbero potuto comportars­i diversamen­te? La pretesa ricorda la famosa barzellett­a yiddish: “Perché gli ebrei studiano tutti violino? Provate voi a fuggire da un pogrom con un pianoforte a coda”. Basta leggere Tevye il lattaio, celebre romanzo di Sholem Aleichem diventato opera teatrale a Broadway e film col titolo Il violinista sul tetto, per rendersene conto. Espropriat­o a suon di frustate dai cosacchi dello zar, il lattaio deve lasciare tutto ed emigrare.

Solo con la nascita d’israele, che Singer non ha fatto in tempo a vedere, gli ebrei smentirann­o il luogo comune dovuto al loro impiego come prezioso ceto urbano di artigiani, commercian­ti, banchieri e così via. Un altro aspetto nel romanzo resta tra le righe, ma si ingigantis­ce nel senno di poi. Di cui son piene le fosse, figuriamoc­i le fosse comuni. La madre di Willy viene da una famiglia di arendarz, ebrei che gestivano concession­i: terre, osterie, distilleri­e per conto degli aristocrat­ici. Sempre per conto loro subivano il rancore dei contadini ucraini che dovevano pagare l’affitto e spendevano i guadagni in vodka. Questa sarebbe una delle motivazion­i dell’antisemiti­smo tra Polonia e Ucraina – le zone di Willy, allora impero russo –, secondo Solženicyn. Comprese le stragi di ebrei nel 1648 da parte di Bogdan Cheml’nickij. Hitler all’inizio verrà visto come suo erede. Qui finiamo però dentro a un altro romanzo: Satana a Goraj, peraltro l’unico noioso scritto dal premio Nobel Isaac B. Singer, fratello di Israel.

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Illustrazi­one Di Zoya Cherkassky, artista ebrea originaria di Kiev

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