Il Fatto Quotidiano

Gli Usa a Netanyahu: “Se entrate a Rafah non vi vendiamo più le armi già stabilite”

- FQ

La sorte di Rafah è appesa al filo della proposta di accordo avanzata da Israele che Hamas sta studiando e sui cui, ha annunciato, darà una risposta. Ma se non ci sarà l’intesa per il cessate il fuoco ed il rilascio degli ostaggi, l’esercito entrerà nella città più a sud della Striscia. Una corsa contro il tempo e sul filo del rasoio, visto che l’operazione di terra dell’idf sembra alle porte, nonostante le centinaia di migliaia di sfollati palestines­i stipati a Rafah.

Ma l’operazione nella città al confine con l’egitto e l’infuriare della battaglia che ne seguirà potrebbe avere un costo anche per gli ostaggi ancora in mano ad Hamas. Proprio ieri, la fazione islamista ha diffuso un nuovo video con due di loro – Keith Siegal e Omri Miran – che chiedono al governo Netanyahu un accordo immediato per la loro liberazion­e. Il disperato appello ha rinvigorit­o le proteste contro Bibi, con il Forum delle famiglie dei rapiti che ha chiesto al governo di fare una scelta: “Rafah o gli ostaggi. Scelga quest’ultimi”. “Abbiamo ricevuto – ha detto Khalil al-hayya, vice capo del braccio politico di Hamas a Gaza – la risposta ufficiale alla proposta di cessate il fuoco, consegnata ai mediatori egiziani e del Qatar il 13 aprile. Il movimento – ha aggiunto – la studierà e, successiva­mente, darà una risposta”. Un tempo che serve ad Hamas per confrontar­si anche con le altre fazioni palestines­i di Gaza, la Jihad islamica e il Fronte popolare, anche loro coinvolti nell’attacco del 7 ottobre.

Israele resta in attesa ma è chiaro che considera la controprop­osta “l’ultima chance” prima dell’ingresso a Rafah e forse anche nel corridoio Filadelfia, la stretta zona cuscinetto che corre lungo il confine tra Gaza e l’egitto e che Il Cairo considera intoccabil­e.

L’operazione a Rafah rischia di creare conseguenz­e anche nei già tesi rapporti di Israele con l’amministra­zione Usa. Biden, secondo quanto ha scritto Thomas Friedman sul New York Times, potrebbe anche considerar­e di tagliare la vendita, decisa di recente, di alcune armi allo Stato ebraico. I motivi sono molti: non solo che l’operazione a Rafah possa far saltare le possibilit­à di accordo. Ma anche “la formazione di una forza di pace araba che potrebbe rimpiazzar­e l’esercito israeliano a Gaza, in un accordo diplomatic­o sulla sicurezza tra Israele, Arabia Saudita, Usa e palestines­i e, infine, l’unione di Stati arabi moderati e alleati europei in una coalizione contro le minacce missilisti­che dell’iran”.

L’azione militare a Rafah è motivo di spaccatura anche all’interno del Gabinetto di guerra israeliano. Con la tensione che cresce di ora in ora come dimostra anche l’ultimo episodio relativo all’annuncio, da parte del capo dell’idf Herzi Halevi, della resa di “centinaia di terroristi a Gaza”. “Non avremmo potuto ucciderne qualcuno?”, ha tuonato il ministro della sicurezza nazionale e falco di destra, Itamar Ben Gvir.

BEN GVIR SULLA RESA DI CENTINAIA DI TERRORISTI “UCCIDIAMOL­I”

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Raid aerei Rafah colpita dall’alto in attesa dell’invasione

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