Il Fatto Quotidiano

“LE DERIVE ANTISEMITE CI SONO: C’È CHI HA PAURA”

- » Roberto Festa

“In 23 anni di insegnamen­to alla Columbia, non ho mai vissuto un momento così difficile”. Giuseppe Gerbino insegna musicologi­a e storia dell’estetica nell’università newyorkese. Conosce bene, e dall’interno, la macchina accademica. È stato direttore di dipartimen­to e fa parte di diverse commission­i, tra cui quella che si occupa delle promozioni dei docenti. Dice di “avvertire la tensione del momento, la difficoltà di trovare un equilibrio tra tutela della libertà di espression­e e necessaria lotta a forme di razzismo e intolleran­za”. Racconta che la protesta “non è stata esente da forme di antisemiti­smo”. E spiega che “la parola più giusta, al momento, è attesa. Sospension­e. Si attende quello che potrà succedere. Soprattutt­o quando, a metà maggio, ci sarà la cerimonia di consegna dei diplomi”. Professor Gerbino, ci sono state manifestaz­ioni di antisemiti­smo

nel campus? Sì, ci sono state.

Chi manifesta dice che si scambia l’antisionis­mo per antisemiti­smo. Ovviamente è tutta questione di misura. Ma espression­i come “Uccidi gli ebrei” o espression­i di giubilo per la strage di Hamas, che abbiamo sentito risuonare nel campus, sono apertament­e antisemite. L’università deve essere un luogo di confronto. La cosa non riguarda ovviamente solo l’antisemiti­smo. È intollerab­ile qualsiasi forma di pregiudizi­o etnico, razziale, religioso. Senza contare la paura che ciò suscita.

Lei è stato testimone di questa paura?

Le dico solo una cosa. Insegno a una classe di 24 studenti. Giovedì, quando ho fatto la mia ultima lezione, forse nove tra questi non si sono presentati. Hanno preferito utilizzare l’opzione da remoto che ora la Columbia offre a chi preferisce non frequentar­e il campus.

Erano ebrei?

Non lo so. Ovviamente non possiamo chiedere le ragioni della scelta. Ma faccia lei.

La cosa riguarda solo le lezioni, o più in generale la vita nel campus?

C’è una cosa che sfugge a chi non conosce la vita universita­ria americana. Gli studenti, qui, vivono nel campus. Ci dormono, mangiano, studiano. Non vengono a lezione e poi se ne tornano a casa. Per questo il clima generale è importante. E per questo minacce ed episodi di intolleran­za diventano problemi particolar­mente gravi.

Si dice che le manifestaz­ioni di antisemiti­smo non sono venute da studenti della Columbia, ma da elementi esterni all’università.

È possibile che ci siano degli infiltrati. Lo dicono in molti. Del resto, è molto difficile dire chi è entrato nel campus e chi ci è restato, accampando­si nelle tende.

Sono state potenziate le misure di sicurezza? Solo all’entrata. Ora entra nel campus chi ha la

’’tessera della Columbia e basta. Ma non vedo una militarizz­azione degli spazi universita­ri. La vita prosegue con una apparenza di normalità.

Anche perché la polizia, la settimana scorsa, l’avete già avuta nel campus.

Sì, e non è stato un bello spettacolo. Non è mai bello vedere la polizia all’interno di un’università. Molti colleghi non hanno gradito.

Il Senato accademico ha ordinato un’indagine su Nemat Shafik, la presidente della Columbia. L’ipotesi è che Shafik, chiamando la polizia per sgomberare gli occupanti, abbia violato i protocolli decisional­i dell’università, minando la libertà accademica e non rispettand­o il diritto al “giusto processo” degli studenti arrestati. Cosa ne pensa?

Lo ripeto. Non è bello vedere la polizia in università. D’altra parte ci sono delle regole anche per la protesta e non si può permettere che questa si trasformi in minacce, violenze e insulti religiosi e razziali. Non siamo in un momento facile, anzi, è un momento difficilis­simo. Si tratta di tutelare il diritto sacrosanto alla protesta di chi si oppone alla guerra a Gaza. Ma si tratta anche di difendere il diritto di chi vuole camminare senza paura per il campus.

Shafik, la presidente, rischia il posto, come quelle di Harvard e Penn, che si sono dovute dimettere in seguito alle polemiche sulla gestione delle proteste?

No, non penso. Almeno, non per il momento. Il Senato accademico ha preso una posizione attendista. Ha ordinato un’inchiesta, non ha apertament­e censurato Shafik. Si vuole capire cosa è davvero successo quando è intervenut­a la polizia. Del resto, è chiara a tutti una cosa. Ci si trova nel mezzo di qualcosa mai successo prima. Ci vorrà del tempo per capire quello che sta avvenendo. Shafik ha mandato una mail al corpo docente ieri. L’ha ricevuta?

Sì.

Cosa dice esattament­e?

Dice che per il momento non verrà chiamata di nuovo la polizia, per sgomberare le decine di tende ancora erette nel South Lawn, il prato centrale del campus. Mi sembra un messaggio di dialogo lanciato a chi

occupa.

In ventitré anni qui mai avevo vissuto momenti così drammatici

Avrà effetti?

Non lo so. Nessuno al momento lo sa. Per il momento, la situazione non esplode. Ma c’è un’incognita.

Quale?

A metà maggio c’è la cerimonia di consegna dei diplomi. Vi prenderann­o parte migliaia di ragazzi e le loro famiglie. La cerimonia dovrebbe svolgersi dove ora ci sono le tende.

Quindi?

Quindi non lo so. Bisognerà trovare una soluzione. Certo è che tende e cerimonia di laurea non sono compatibil­i.

Si dice che le proteste possano finire per influenzar­e il voto presidenzi­ale del prossimo novembre. Lei cosa ne pensa?

Penso che sia possibile. La maggioranz­a dei giovani vota democratic­o e questa storia può allontanar­e molti di loro da Biden. Si tratta, ovviamente, di una minoranza del corpo elettorale. Ma conosciamo il sistema americano. Basta perdere poche migliaia di voti per perdere uno Stato. I democratic­i quindi rischiano.

Una parola per definire quanto sta accadendo?

Sospension­e. Ma domani ho la mia prossima lezione. E torno, tranquilla­mente, in aula.

 ?? FOTO ANSA ?? Nervi tesi Studenti pro Palestina a Nyc; sopra, irruzione della polizia a L.A.; a destra, la sindaca Bowser
FOTO ANSA Nervi tesi Studenti pro Palestina a Nyc; sopra, irruzione della polizia a L.A.; a destra, la sindaca Bowser
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