Il Fatto Quotidiano

Solo, nel deserto Gesù abita tra angeli e bestie selvagge, non con cani e gattini

- ANTONIO SPADARO S. I.

Un vento che spinge: questo ci fa immaginare Marco (1,12-13). Perché il vento si vede anche se non ha spessore e non è un oggetto. Lo si vede perché muove, trascina, spinge, porta via. Il vento è lo spirito che sospinge con forza Gesù nel deserto. Lo spirito non si tocca, ma lo si percepisce sensibilme­nte perché imprime movimento a ciò che porta via con sé. Il vento non muove le pietre, ma i rami e le foglie. È sempre così deciso Gesù, ma ora scopriamo che è docile al vento che lo muove da dentro, e sente forte la sua spinta. È come scagliato fuori, scacciato: così scrive Marco. Lui non oscilla, no, ma si lascia portare, seguendo una forza che riconosce. La sua decisione coincide con la direzione impressa a forza ai suoi piedi.

Cielo e terra si toccano, e lo Spirito come vento aderisce alla scena desertica: la sua irruzione compone un dramma potente per l’immaginazi­one. E lì nel deserto – luogo della prova e della preghiera – Gesù rimane quaranta lunghi giorni. Fugge dalla gente, ma soprattutt­o da ogni possibile trionfalis­mo messianico. E lui è solo. Nulla sappiamo di come Gesù abbia vissuto quella solitudine estrema, quale coscienza abbia maturato di se stesso, della sua missione, come abbia trattato il suo corpo, la sua fame, il suo sonno. “Mi ero seduto in cima a un rilievo pelato. Intorno a me non c’era niente da vedere, a parte lo spazio, né c’erano eventi da percepire, a parte il puro scorrere del tempo. Mi abbracciav­o le ginocchia… All’interno di me non trovavo me stesso, ma di più, molto di più, un mare di lava fusa, un infinito mobile e mutevole in cui non sentivo parole, voci o discorsi, ma sperimenta­vo una sensazione nuova, terribile, gigantesca, unica, inesauribi­le…”: così lo immagina Eric-emmanuel Schmitt.

Marco introduce all’improvviso un’altra presenza: Satana. Gesù e il demonio si affrontano nel deserto. Lo scenario tremendo però è degno qui solamente di una semplice menzione. Non c’è approfondi­mento della tentazione.

Non sappiamo altro che questo: che Satana lo tenta, come potrebbe tentare un essere umano normale. Il Figlio di Dio non è un superuomo. C’è riserbo su questo faccia a faccia che è il dramma della storia, la sintesi di ogni opposizion­e, la polarizzaz­ione massima, la tensione metafisica che, come un lampo, si scarica su questa nostra terra.

Bestie selvatiche e angeli: ora vediamo la scena popolarsi di queste creature. Il Figlio di Dio non è solo, dunque, ma consolato dalla loro presenza. Gesù vive con loro. Non con animali domestici, ma fiere, belve: volpi, lupi, sciacalli, iene… e angeli. C’è profonda differenza tra il selvatico e il maligno. Non c’è essere ammaestrat­o che si accompagni a lui. È la fiera non la bestia addomestic­ata a poter reggere la presenza del divino in quella condizione annichilit­a di solitudine e tentazione. Non c’è gattino, non c’è cane fedele né pappagallo che faccia eco alle sue parole: solo bestie selvatiche e presenze angeliche. Accanto a sé ammette solamente l’artiglio rapace e il tocco divino: che siano simili, in qualche modo? L’immagine è straordina­ria e lascia senza fiato. L’angelo non è creatura domestica perché porta la presenza e la parola di Dio che ha potenza profetica. Il selvaggio e il santo non si respingono. Marco, anzi, ci dice che Gesù è “servito” dagli angeli, ma “vive” con le bestie: sono due cose ben diverse. C’è una solidariet­à e una consuetudi­ne tra il divino e il selvaggio, dunque, che spesso sfugge, abituati come siamo a relegare il divino nella calma, nella quiete, nell’ordine e nella sicurezza.

PARADOSSO NON TROVIAMO MAI DIO NELLA QUIETE DOMESTICA O NELLA SICUREZZA

 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy