Il giudice salva “Dicembre” Ma John Elkann non vince
La cassaforte di Famiglia (finalmente) registrata alla Camera di Commercio, ma gli originali della cessione di quote ancora non ci sono
Èdavvero una sconfitta, per Margherita Agnelli, la decisione resa nota dal Tribunale delle Imprese di Torino? Il giudice Enrico Astuni, infatti, ha respinto il ricorso della secondogenita dell’avvocato contro i suoi tre figli John, Lapo e Ginevra Elkann, mantenendo in vigore l’iscrizione alla Camera di Commercio delle quote della società semplice Dicembre: la “cassaforte di famiglia” che controlla l’impero Exor.
Oggi, dunque, la ripartizione delle quote resta quella indicata nel 2021: il 60% a John e l’altro 40% per cento diviso a metà tra Lapo e Ginevra. Un assetto che corrisponde al “requisito formale” delineato da un “atto ricognitivo” redatto dal notaio torinese Remo Morone, il 30 giugno 2021: in altre parole, è il professionista che si è assunto, firmandolo, la responsabilità pubblica sulla “verità” di Dicembre.
Nei prossimi giorni, si capirà, se il legale di Margherita, l’avvocato Dario Trevisan, presenterà appello al Tribunale civile. Ma sarà soprattutto sul piano penale che andrà valutata la portata della pronuncia del giudice e delle sue motivazioni. A cominciare dall’inchiesta che la Procura di Torino conduce sull’eredità di Marella Caracciolo, vedova di Gianni Agnelli, e sui presunti “artifizi e raggiri” che avrebbero messo in atto i suoi nipoti e il loro commercialista di fiducia, Gianluca Ferrero. Indagati per evasione fiscale e truffa ai danni dello Stato per aver allestito una presunta residenza svizzera “fittizia” di Marella: al fine di escludere la figlia Margherita dal ruolo di erede legittima e non pagare la tassa di successione in Italia.
I pm Gianoglio, Bendoni e Marchetti, assieme alla Guardia di Finanza, stanno ora esaminando la gran mole di documenti cartacei e digitali sequestrati. Soprattutto per ricostruire l’intero asse ereditario della vedova dell’avvocato, sul quale calcolare poi la tassa di successione evasa. Alla caccia di possibili patrimoni nascosti in società off-shore dei Caraibi e in trust del Liechtenstein (è già stato scoperto un deposito di quasi 800 milioni di euro), quadri della “Collezione Agnelli” e anche della validità (o meno) delle quote della società “Dicembre” il cui valore, per le partecipazioni in Exor, è stimato tra i 5 e i 6 miliardi di euro.
Marella Caracciolo, il 19 maggio 2004, avrebbe ceduto in “nuda proprietà” ai tre nipoti la sua quota del 41,29%, mantenendone l’usufrutto, in cambio di 81 milioni di euro: determinando quell’assetto societario comunicato però alla Camera di Commercio solo nel 2021.
Sono proprio quei tre atti di cessione (legati agli ordini di pagamento attraverso banca svizzera Pictet&cie e la Fiduciaria Gabriel) l’oggetto sia della decisione di Astuni sia dell’indagine dei pm che, nel secondo decreto di sequestro, affermano come essi paiano “rivestire carattere di atti simulati, non essendo a oggi state acquisite prove del pagamento”.
NELLE ISCRIZIONI alla Camera di Commercio e poi nei procedimenti davanti al Tribunale delle Imprese, i legali Elkann hanno prodotto due diverse copie dei tre atti di cessione della “nuda proprietà”, ma non gli originali: per ora mai rintracciati. La prima versione, fotocopie di scritture private in carta libera e senza indicazione del luogo, è accompagnata dalla dichiarazione di Morone che definisce ogni atto “conforme al documento a me esibito”, senza però poter affermare di aver visto l’originale. La seconda, presentata solo al giudice Astuni, è identica alla precedente: ma riporta un’attestazione dell’autenticità delle firme (non fatte però davanti a chi le autentica), un timbro notarile, una marca da bollo svizzera e la sottoscrizione del notaio di Ginevra Etìenne Jeandin, accompagnata da una successiva apostille del 2022 (la validità all’estero del documento), firmata da un suo collega di studio, Gérard Defacqz, che certifica “la conformità della fotocopia al suo originale”, senza precisare però se si riferisce davvero ai “documenti originali” o a delle fotocopie sulle quali Jeandin avrebbe apposto le validazioni.
Nelle motivazioni, il giudice Astuni scrive parole che non aggiungono nessuna certezza all’autenticità di quelle carte, anzi. “L’atto ricognitivo – spiega – non sostituisce l’originale. Dal quale soltanto deriva l’esistenza del diritto riconosciuto”. Quanto alle due versioni, quella di Morone è priva “di autentica, di registrazione e di bollo”, mentre quella svizzera risulta munita di “una attestation et légalisation des signatures da parte di un fantomatico notaio ginevrino, il cui nome sul sigillo non è leggibile per intero e la cui firma in calce è uno scarabocchio semplicemente illeggibile”. L’apostille, infine, non ha valore: non è stata redatta secondo la Convenzione dell’aja del 1961 e da un console italiano.
Affermazione che dovranno essere valutare adesso dagli stessi pm, ma anche dal legale di Margherita, per accertare se la mancanza dell’originale delle cessioni e della prova del relativo pagamento non rientrino nei presunti “artifizi e raggiri” attorno all’eredità, anche riguardo alla presentazione alla Camera di Commercio di documenti che potrebbero “rivestire carattere di atti simulati” e far ipotizzare una “frode”.
La partita Margherita perde un round in sede civile, ma l’inchiesta della Procura di Torino resta tutta in piedi