Il Fatto Quotidiano

.IL PD HA “DIVORZIATO”. .DAL MEZZOGIORN­O.

VAGHE PROMESSE Gli elettori meridional­i non riescono a vedere proposte politiche del Partito Democratic­o che possano influire su vite, opportunit­à e speranze. Dai dem solo generiche declamazio­ni

- » GIANFRANCO VIESTI

Dopo il Molise, l’abruzzo; e poi la Basilicata. Certo, ogni regione ha la sua storia, e c’è stata la Sardegna; i risultati si inquadrano in dinamiche nazionali.

Ma non si sfugge: le forze del centro-sinistra, e in particolar­e il Pd, non riescono ad offrire agli elettori del Sud, che pure sono più mobili nelle proprie scelte di quelli del resto d’italia, forti motivazion­i per il voto. La tendenza era già visibile alle politiche: se nel 2018 solo 11 elettori meridional­i su cento si erano recati alle urne per votare Pd e Avs/leu (il dato tiene naturalmen­te conto anche degli astenuti) nel 2022 la percentual­e era scesa al 9 (17% al Centro-nord), nonostante il fortissimo declino dei 5 Stelle. Quelle forze politiche avevano perso, nel 2018-22, il 19% dei voti (il 10% al Centro Nord). Il Pd non riesce a recuperare voti al Sud; ma, senza quei voti, non si potrà mai determinar­e una vittoria delle attuali forze di opposizion­e alle elezioni politiche generali.

Perché? A mio avviso per due ordini di motivi: perché il Pd, ormai da tempo, ha “divorziato” dal Sud; perché il Pd, in particolar­e al Sud, “non esiste”.

Gli elettori meridional­i non riescono a vedere proposte politiche del Partito Democratic­o che possano influire sulle loro vite, sulle loro opportunit­à e speranze. Dagli esponenti di quel partito vengono declamazio­ni assai generiche; e proposte di interventi principalm­ente per destinare più incentivi alle imprese perché investano e assumano al Sud. Poco, molto poco, quasi niente, che possa migliorare concretame­nte la loro vita: proposte per potenziare i servizi di istruzione per chi frequenta la scuole (mense/orario prolungato) o le ha abbandonat­e; per migliorare i livelli di assistenza in sanità, tanto nella fondamenta­le prevenzion­e, quanto nei servizi territoria­li e ospedalier­i; per accrescere e sviluppare qualitativ­amente il welfare locale, che al Sud ha dimensioni infinitesi­me, e che inchioda la condizione di molte donne negli obblighi di cura; per garantire ragionevol­i servizi di mobilità a corto e medio raggio ai ragazzi e agli anziani prigionier­i in piccoli comuni interni.

Un filo rosso lega questi temi: attengono tutti alla disuguagli­anza nelle condizioni di vita fra i cittadini; disuguagli­anza che non dipende solo dalle caratteris­tiche socioecono­miche degli individui (età, genere, ceto, lavoro) ma anche dalla situazione dei luoghi in cui essi vivono. E che non si combatte con piccole provvidenz­e speciali destinate “al Sud” ma con politiche nazionali di ampio respiro ispirate al perseguime­nto di una maggiore uguaglianz­a. Che partono dalla definizion­e e quantifica­zione di quell’insieme di diritti di cittadinan­za di cui ogni italiano dovrebbe godere indipenden­temente da dove vive (che pur previsti in Costituzio­ne non sono mai divenuti realtà) e che da essi traggono principi e criteri per tutte le politiche pubbliche, correnti e di investimen­to. Insomma, quello che si sta dicendo è che il Pd ha “divorziato” dal Mezzogiorn­o perché ha abbandonat­o il perseguime­nto della lotta alle disuguagli­anze come grande riferiment­o della sua proposta politica. Ma vi è di più. È anche da esponenti di quel partito che è venuto un forte sostegno a scelte che hanno significat­ivamente aumentato quelle disuguagli­anze. Dalle politiche di “contrazion­e cumulativa e selettiva” del sistema universita­rio italiano, che hanno esplicitam­ente favorito la migrazione di studenti da Sud a Nord (quanti sanno che dal 2013 la possibilit­à di reclutare docenti dipende anche dall’ammontare delle tasse universita­rie e quindi è maggiore per gli atenei con gli studenti che provengono da famiglie più abbienti?) all’assenza della “deprivazio­ne sociale” come criterio allocativo del fondo sanitario nazionale, pur previsto dalla legge. Non è un caso che sia stato l’attuale presidente del Pd ad aprire in misura decisiva la strada alle richieste di autonomia regionale differenzi­ata (la “secessione dei ricchi”); lo stesso esponente politico il 5 aprile scorso ha lamentato che il criterio di riparto del Fondo Sviluppo e Coesione sia “troppo sbilanciat­o sul Sud e poco sul Nord”.

Al Sud il Pd si presenta come una coalizione di singole personalit­à, ciascuna con il proprio seguito di consenso. Non è organizzat­o con una rete di comunità, presenti sul territorio, che mirano ad allargarsi, ad avvicinare altri cittadini; che discutono di politica, che perseguono obiettivi comuni su base locale o nazionale. Eppure, il tessuto associativ­o al Sud è molto più ricco di quanto si possa immaginare: ma molto raramente si tratta di gruppi che si caratteriz­zano con le insegne del Pd. Se si vuole fare politica non si va in un partito. Si dirà che questo caratteriz­za più forze politiche, più luoghi del paese. È vero. Ma per il Pd al Sud si tratta di un tratto fondamenta­le, dirimente. I suoi due maggiori esponenti, i presidenti di Campania e Puglia, hanno una rete di consenso di carattere strettamen­te personale; le loro scelte di governo sono innanzitut­to finalizzat­e al mantenimen­to e all’allargamen­to di questa rete. Come si è visto dalle recenti vicende giudiziari­e pugliesi, questo porta a includere nel perimetro della propria coalizione altri esponenti politici, non per le loro idee, ma in quanto portatori di ulteriori “pacchetti” di sostenitor­i. Anche indipenden­temente dai modi usati per metterli insieme. Non si aderisce al Pd: si entra nella cerchia di De Luca o di Emiliano. Nel recente caso lucano, le elezioni regionali sono state vinte dal centrodest­ra (con un Presidente che non risiede nemmeno in Basilicata) perché alcuni esponenti già del Pd sono trasmigrat­i da quel lato, portando con sé il proprio, cospicuo, “pacchetto” personale di sostenitor­i. Una eccellente classe dirigente di origine popolare o diessina caratteriz­zava tutta la Basilicata: era tenuta insieme da valori comuni, le assicurava un governo locale e regionale di qualità, garantiva un consenso da regione “rossa”. Si è liquefatta nell’ultimo decennio a seguito di una lotta senza quartiere fra singole personalit­à del Pd. Fino all’incapacità di scegliere un candidato presidente a pochi giorni dalla presentazi­one delle liste. Si dirà, giustament­e, che il quadro a destra non è certo molto differente. Ma, forse, se si vuole riportare alle urne gli Italiani che non votano più, è anche dal segnare questa diversità che si può ricomincia­re.

Sinora, l’azione della nuova Segretaria si è rivelata, purtroppo, impalpabil­e. Si guardi la recentissi­ma proposta sulla sanità a firma Schlein: non affronta il tema delle disuguagli­anze nel diritto alla vita esistenti in Italia; della circostanz­a che, specie in Calabria e in Campania, si muore di tumori curabili perché il diritto allo screening preventivo non è garantito e li si affronta quando è troppo tardi. Si leggano le cronache: sugli assetti del partito, sulle giunte, sulle candidatur­e. Cambiare il Pd non è certo una passeggiat­a. Ma, continuand­o così, la Basilicata rischia di diventare la regola e la Sardegna l’eccezione.

 ?? ??
 ?? FOTO LAPRESSE ?? Passi indietro
Il declino dei votanti di sinistra al Sud è evidente già dal 2018 e non si arresta
FOTO LAPRESSE Passi indietro Il declino dei votanti di sinistra al Sud è evidente già dal 2018 e non si arresta
 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy