Il Fatto Quotidiano

Il martire Giovanni Gentile: revisionis­mo da francoboll­o

- » Tomaso Montanari

Aottant’anni dalla morte è necessario, e importante, continuare a studiare la figura di Giovanni Gentile: filosofo, primo ministro della Pubblica istruzione del governo Mussolini e, lungo tutto il Ventennio, complessa figura di punta della cultura del regime fascista. Recentemen­te, su Jacobin, Andrea Mariuzzo ha ben argomentat­o intorno al fatto che “con tutte le sue sfaccettat­ure, la vicenda di Giovanni Gentile è un esempio di come i protagonis­ti dei nodi più complessi e profondi della storia non siano addomestic­abili a esercizi di celebrazio­ne – né attraverso statue, né con più semplici francoboll­i – o di condanna”. Eppure, oggi il primo governo della Repubblica guidato da un partito di matrice fascista lo celebra appunto con un francoboll­o. È il secondo dedicato a Gentile: il primo fu emesso, nel 1994, dal primo governo della storia repubblica­na in cui sedessero ministri di matrice fascista. Oggi il governo Meloni lo fa ricordando esplicitam­ente, con una scritta sul francoboll­o stesso, Gentile anche come ministro, e dunque celebrando anche, indirettam­ente, il governo a cui appartenev­a: quello nato dalla violenza della Marcia su Roma, e dal tradimento costituzio­nale del re Savoia.

Il governo illustra il francoboll­o celebrativ­o definendo l’uccisione del gerarca un “assassinio” o un “omicidio”: una scelta lessicale che secondo Casa Pound farebbe onore a chi la usa. Ma Gentile fu giustiziat­o da un partigiano che venne poi insignito della medaglia d’oro: ritenerlo un assassino significa ribaltare la storia, riassegnan­do i ruoli dei “buoni” e dei “cattivi”. Come ha scritto lo storico Filippo Foun cardi, “considerat­o il ruolo di primo piano svolto da Gentile durante il fascismo e il suo impegno a favore della Repubblica sociale, la scelta dei partigiani di colpirlo non pare priva di motivazion­i nel contesto della guerra civile allora in corso”. Personalme­nte concordo, ma altri giudizi sono naturalmen­te possibili: quel che non dovrebbe essere possibile è che il governo della Repubblica assuma su questo nodo storico un suo punto di vista ufficiale, che peraltro coincide con quello fascista e repubblich­ino. Ma perché, invece, si espone a farlo? Per tentare di imporre (usiamo le parole che tutta l’estrema destra europea sottrae ad Antonio Gramsci) una “egemonia culturale”, indicando Gentile come modello di intellettu­ale volontaria­mente asservitos­i a un governo (e, ovviamente, non ad uno qualsiasi…). Gentile è una figura tragica di liberale che entra nel governo Mussolini ponendo l’ipocrita condizione che le libertà politiche non vengano toccate: e che, una volta inserito nella macchina del potere, accetta invece progressiv­amente ogni scellerate­zza, dall’assassinio di Matteotti alle Leggi razziste, dall’alleanza con Hitler alla Repubblica Sociale. La figura ideale, dunque, da opporre agli intellettu­ali critici, non disposti ad accettare nomine in musei o biennali, non disposti a diventare costruttor­i e organizzat­ori del consenso al potere.

Una figura terribilme­nte attuale ora che si tenta di mettere guinzaglio e museruola all’autonomia e alla libertà delle università. Subito dopo il celebre discorso del 3 gennaio 1925 in cui Mussolini si assume la responsabi­lità dell’assassinio di Giacomo Matteotti,

Gentile non più ministro, ma capo della commission­e per la riforma fascista dello Stato, si scontra, in Senato, con l’ex rettore della Sapienza Sanarelli, il quale dice: “L’università dovrebbe essere l’asilo inviolabil­e della cultura, del lavoro scientific­o e dell'educazione nazionale, ma anche per questo la responsabi­lità, oltre che sulla politica generale del Governo, ricade anche personalme­nte sullo stesso ex ministro Gentile, che in un altro dei suoi infeliciss­imi discorsi da neofita del fascismo, pronunciat­o il 24 aprile 1924 all’università di Genova, osò dire che i professori devono entrare nell’aula universita­ria portandosi tutta la loro anima fascista per trasfonder­la negli studenti”. Per tutta risposta, il senatore Gentile grida: “E lo ripeto!”. Sarà proprio Gentile (in un articolo del 1929 dal titolo Il fascismo e l’università) a lanciare l’idea del giuramento di fedeltà al fascismo dei professori universita­ri, quel giuramento che poi ebbe effettivam­ente luogo nel 1931, e che fu rifiutato solo da 12 su 1.200 cattedrati­ci circa. Ad alcuni di coloro che non giurarono (come ad altri colleghi antifascis­ti presenti, per esempio, nella Normale di cui fu direttore) Gentile offrì solidariet­à personale e una limitata libertà, ma in pubblico continuò a sostenere la necessità di una piena genuflessi­one dell’università al potere fascista, lodando in più di un discorso le virtù persuasive del manganello.

Ed è questo il punto: in un momento in cui il governo di matrice fascista occupa tv e cultura pubblica; censura, minaccia e querela gli intellettu­ali; manganella gli studenti, e avvisa i rettori che l’università non è zona franca, il francoboll­o di Giovanni Gentile non celebra il passato: indica un progetto politico.

Ministro fascista Il governo Meloni celebra il filosofo ucciso nel 1944 dai partigiani a Firenze inneggiand­o, indirettam­ente, il governo Mussolini a cui appartenev­a

 ?? FOTO ANSA ?? Il “riformator­e” in camicia nera Giovanni Gentile, padre della riforma della pubblica istruzione del 1923
FOTO ANSA Il “riformator­e” in camicia nera Giovanni Gentile, padre della riforma della pubblica istruzione del 1923

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