Il Fatto Quotidiano

Guerre e migranti La banalizzaz­ione della morte: il “credente” Violante e la parabola del samaritano

- FABRIZIO D’ESPOSITO

La morte. Una parola tabù, indicibile che però oggi genera indifferen­za. “La morte domina il nostro tempo”. Luciano Violante lo scrive due volte. Valga la prima: “La morte domina il nostro tempo a causa delle guerre, delle migrazioni, dell’intensific­arsi dei suicidi e dei femminicid­i, del procurarsi la morte ‘come ordinaria alternativ­a alla vita’, quando l’autosoppre­ssione volontaria diventa, nella solitudine, soluzione per una vita difficile”.

Ex magistrato, giurista e presidente della Camera dal 1996 al 2001, Violante ha pubblicato per Bollati Boringhier­i “Ma io ti ho sempre salvato”. La maschera della morte e il nomos della vita (107 pagine, 12 euro). Un volumetto essenziale per stile e sostanza, laddove il racconto intimo di due lutti personali (la madre e la moglie) è il culmine di un saggio sulla “rimozione della vita” elaborato attraverso la politica, la religione, i miti, la filosofia. La morte domina a causa della sua “banalizzaz­ione”, persino nei videogioch­i.

SE OGGI SIAMO indifferen­ti alla macabra contabilit­à delle vittime di guerre e migrazioni è perché abbiamo smarrito il senso della vita. E senza il senso della vita non riusciamo a guardare negli occhi la morte. Saper vivere. Saper morire. Violante aggiunge: saper sperare nonostante questo “autunno delle coscienze”. Non è poco se pensiamo alle 59 guerre in corso oggi. E qui Violante sorprende, da giurista e politico riformista, quando afferma che il diritto ha la funzione di “lavatrice della storia”. Serve cioè a creare un “illusionis­mo giuridico” per dare formule astratte e tranquilli­zzanti alla scelta delle armi: “intervento umanitario”, “polizia internazio­nale”, “esportazio­ne della democrazia”.

Epperò il diritto non può sostituire l’etica: “Le questioni della morte e della vita andrebbero giudicate non con la miserabili­tà del metro giuridico – diritti e doveri – ma con quello del destino dell’uomo, del futuro dell’umanità, delle ragioni del vivere”. Violante evoca la parabola evangelica del buon samaritano che, a differenza del sacerdote e del levita, va in soccorso della persona ferita dai briganti, senza curarsi delle convenienz­e e della paura di esporsi. “L’amore salva chi ama”. È un libro, infatti, anche religioso, ma non in senso ideologico e dogmatico. Rivela l’ex presidente della Camera: “Sono un credente, seppure tuttora privo di religione specifica”. C’è una dolcezza antica nello sguardo di Violante che ha la sua epifania quando narra il difficile rapporto con la madre, dove ricorre di nuovo il verbo salvare, richiamato nel titolo: “Ma io ti ho sempre salvato”. Violante è nato in Etiopia, a Dire Dawa nel 1941, perché i genitori erano emigrati lì. Entrambi furono poi prigionier­i degli inglesi, che rinchiuser­o tutti gli italiani, fascisti e no. La madre e il piccolo Luciano vennero liberati nel 1943 e una volta arrivati a Napoli in nave affrontaro­no un viaggio tragico per raggiunger­e il paesino pugliese del padre.

Violante non ha mai saputo cosa fosse accaduto in quel viaggio. Gli è rimasta la frase della madre, detta prima di morire: “Ma io ti ho sempre salvato”. “Quel corpo prima mi aveva fatto nascere e poi mi aveva salvato più di una volta, pagando il prezzo che in quelle circostanz­e paga una giovane donna”.

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